Spunto per la discussione

Questo è un cross-post su Strategie Evolutive e su Alia Evolution.

Tutto parte da un articolo di Simona Gervasone comparso sul blog Il Circolo degli Scrittori.
Un articolo interessante – perché cercare di definire il campo in cui giochiamo è sempre interessante.
Ho già affermato in un mio comento a quel post che dissento dalla quasi totalità delle posizioni della Gervasone – non per malizia o per ostilità nei suoi confronti, ma perché evidentemente apparteniamo a scuole diverse.

In generale – mia opinione – credo che l’articolo non rappresenti una panoramica del fantasy, ma piuttosto una personale maniera di concepire il genere, che io non condivido ma che volete, fatemi causa.
Non concordo sulla lotta fra il Bene e il Male come nodo centrale della narrazione, non concordo sull’importanza di caricare ogni oggetto ed ogni descrizione, non concordo sul fatto che modelli mitologici tradizionali e quest siano tanto importanti.

Non concordo sul fatto che il romanzo fantasy non invecchia.
Trattando essenzialmente di scelte morali, l’evoluzione della morale nel quortidiano porta ad un invecchiamento del fantasy – il modello tolkieniano per cui la razza determina la morale (ad esempio) è oggi inammissibile, e puzza di vecchio.
E poi il linguaggio invecchia – Thorne Smith era un cumulo di risate ed idee originali negli anni ’20, oggi è patetico e trito.
E poi i lettori invecchiano e – talvolta, con un po’ di fortuna – maturano.

Ma queste sono, come dicevo, mie opinioni relative alla mia scuola di pensiero, e c’è spazio per tutti finché non cominciamo a fare a spintoni.

Ma c’è una frase, ed una in particolare, che mi viene voglia di isolare e buttare in pasto alla popolazione.
Questa:

Il fantasy è quello di cui tutti hanno bisogno anche se ancora non lo
sanno perché la nostra condizione umana di miseri tapini che non
possono vivere realmente avventure in altre dimensioni o semplicemente
zittire il proprio capo ufficio con una magia, ha bisogno di trovare
sfogo e appagamento.

Con un unico romanzo possiamo sognare, inorridire, gioire e intristirci; cosa si può volere di più da un libro?

Ecco, ricordo bene che un discorso simile – se non lo stesso – veniva portato a supporto del successo dei fumetti di Superman.
Tarantino, per bocca di un grandissimo David Carradine, capovolge l’idea in Kill Bill 2, forse il momento più alto del film.

Siamo “poracci” e ci serve una valvola di sfogo.
Io questa posizione l’ho sempre trovata avvilente.
Addirittura un po’ offensiva.
Interpretare la narrativa fantastica come “la sacrosanta fuga del prigioniero” di tolkieniana memoria rende un pessimo servizio all’autore, ed al lettore.
Certo, la narrativa deve essere intrattenimento.
Ma escapismo puro?

Considerando che il fantasy permette di lavorare con gli assoluti (il Bene e il Male, il Caso e la Necessità) in situazioni perfettamente controllate e ritagliate su misura, non si dovrebbe ricercare la forza di questo genere nella sua capacità di esplorare tutte le opzioni, illuminare tutte le alternative, provare “in vitro” soluzioni alternative?

Non sarebbe il caso di chiedere a un libro – anche ad un fantasy – di renderci migliori, oltre che divertirci? 

O è per questo che oggi di fantasy veramente buono, sugli scaffali, ne vediamo maledettamente poco?

Qualche idea?

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39 pensieri su “Spunto per la discussione

  1. Per vari motivi non sono convinto neanch’io di quanto affermato. Sostanzialmente, mi sembra un’analisi basata su un fantasy “vecchio” che non contempla le innovazione di questi ultimi venti anni e, comunque, che non regge bene sui modelli dei paesi non anglofoni (fantasy russo, giapponese o cinese)…
    Ognuno ha diritto ad avere una sua personale visione del fantasy, pero’ penso sia meglio evitare le definizioni assolute.

  2. Io credo che, in positivo, l’articolo fotografi abbastanza bene l’offerta media di una libreria italiana a cavallo fra ventesimo e ventunesimo secolo.
    Da questo punto di vista funziona, se vogliamo, come caveat.

    Il grosso problema è che l’offerta dei nostri editori e distributori non corrisponde – fortunatamente! – al fantasy in toto.
    Ed anche senza andare a scomodare le scuole fantastiche non-anglosassoni – che d’altra parte, è vero, sono sempre più accessibili e quindi difficili da ignorare – anche nella semplice e mercenaria editoria americana, la varietà è sorprendente.
    Gran parte dei problemi del genere derivano dal fatto che la maggioranza continua a restare all’oscuro di questa varietà.

  3. Si’, se si considera solo il fantasy pubblicato in Italia l’articolo funziona anche. Il problema e’ che con i canoni proposti mi pare difficile proporre qualcosa di innovativo…
    Per “i sempre piu’ accessibili”, pare che i romanzi di Vampire Hunter “D” usciranno in Francia.

  4. Credo però che non si renda in pieno giustizia all’autrice dell’articolo. E’ chiaro che in uno spazio così limitato, non si può pretendere di trovare una spiegazione o un’analisi esaustiva del fantasy (ma solo uno spunto di discussione) non la si può trovare prorpio per le caratteristiche del fantasy che pare non avere confini, né strutture formali rigide. E’ vero che certi autori possono invecchiare, ma non invecchia il genere, soprattutto se sa evolversi.
    Certo, pare rigida come regola base la contrapposizione di bene e male, che già in passato è stata superata da eroi con posizioni più ambigue o libere, ma in fondo è un tratto caratteristico della maggior parte della produzione.

  5. Volevo aggiungere una considerazione: sono d’accordo sul fatto che un lettore di libri fantasy è spinto a seguire con passione una saga, non solo perché cerca una fuga dalla realtà. Temo però che, per reazione, si passi alla posizione contraria, e neppure questo ha molto senso. Mi spiego: in occasione dell’uscita dei tre film tratti dal signore degli anelli (a mio parere film orribili), fecero molte trasmissioni sul “fenomeno”, una anche su rai due, e si intervistavano i fan i quali cercavano a tutti i costi di ribadire che la lettura/visione era vincolata al fatto che nella trama si trovavano valori morali, ecc. Tutto giusto, ma si tralasciava comunque un dato rilevante, ossia oltre ad una funzione educativa il sig. degli anelli è disimpegno, divertimento, questa componente è legata al senso etico del libro, ed è proprio per questo che il genere fantasy può contare su così tanti appassionati.
    Una posizione che medi tra le due (etica-divertimento) credo sia più coerente. Un libro fantasy ben scritto non è solo divertimento, fuga dalla realtà, come non è solo un compendio di morale.

  6. Io continuo a dire che l’articolo è interessante – e certo, lo spazio a disposizione limita i discorsi che si possono fare.
    Il miglior lavoro che io conosca di definizione del fantasy è un volume da quattrocento pagine 🙂
    Continuo a ripeterlo – si tratta solo di una scuola di pensiero diversa dalla mia, e mi interessa sentire opinioni diverse.

    Concordo invece sull’equilibrio escapismo/impegno.
    Non amo i romanzi didattici, così come non amo la letteratura puramente d’evasione.
    L’equilibrio è possibile – una dele migliori dimostrazioni, credo, è Terry Pratchett, che riesce a far fare una valanga di risate ai suoi lettori, ma non manca di toccare argomenti molto “profondi”.
    D’altra parte, chi leggerebbe volontariamente un libro noioso?

  7. In effetti non posso che condividere le posizioni di asakusa ma anche quelle di davide e massimo. L’argomento è talmente vasto che non è facile parlarne in pochissime righe ed in effetti trovo difficile anche parlarne solo oggi dato che pare sia un genere adatto ad ogni tempo. Con questa affermazione, per esempio, l’autrice dell’articolo, che conosco personalmente, non intendeva dire che è un genere che così come è stato “ideato” viene sempre riproposto ma anzi, la stessa fa riferimenti storici alle radici del genere proprio per evidenziare il fatto che è un genere in evoluzione e diversamente da altri generi letterari non potrà tramontare facilmente proprio per la sua capacità di adattarsi, evolversi e continuare a svilupparsi in base al momento storico in cui viene “utilizzato”.

  8. L’evoluzione nel tempo è vera di tutti i generi letterari.
    I generi mutano.
    Di fatto, tutti quei titoli che negli ultimi sessant’anni hanno spinto il fantasy in una direzione diversa, facendolo evolvere in forme nuove ed eccitanti, al giorno d’oggi i fan non solo non se li filano, ma quando inciampano per errore su uno di essi, ne rimangono stravolti.
    Vedi i meschinelli che, su diversi forum, bollano il Ciclo del Nuovo Sole di gene Wolfe come “noioso” o “incomprensibile”,
    Oppure neanche lo riconoscono come fantasy – perché non ci sono elfi o spade magiche o setting medioevali.

    Oggi un certo fantasy “tira” perché – specie nella sua conformazione più diffusa (quella, per intenderci, descritta dall’articolo che ha avviato tutta questa discussione – è di fondo un genere consolatorio e rassicurante.
    E’ ripiegato quasi patologicamente sul passato e promette il ritorno all’età dell’oro – noterete che il 90% delle trame ruota attorno alla necessità di riportarele cose nelle condizioni in cui si trovavano nei “bei vecchi tempi”.
    E’ inoltre un genere che – sempre nella sua forma più commercialmente di successo in questo momento – descrive culture nelle quali ogni individuo ha un suo ruolo preciso e definito.
    Sono tratti indicativi.

    Io mi auguro che le cose cambino, e tornino a prender piede altri modi di intendere il fantastico.

  9. io sono qui come outsider, perchè non frequento assiduamente il fantasy – a parte aver letto i classiconi tipo tolkien – , leggo piuttosto la fantascienza, e mi ha stupito vedere quanto spesso i due generi siano associati. Trovo questa discussione interessante come tentativo di definire un genere: un’ardua impresa spesso affrontata anche nel campo della fantascienza.
    In particolare mi ha colpito l’accenno di Davide al mondo fantasy come “provetta” dove sperimentare le più diverse soluzioni narrative e morali senza dover badare ai limiti fisici del mondo reale, costruendosi ad hoc il mondo le leggi e le situazioni più utili. L’idea mi ha colpito perchè questo è un ruolo che ho sempre attribuito alla fantascienza, quindi forse è comune ai due generi, ma allora non può essere usato per definire nessuno dei due.
    Un altro punto che trovo interessante è la discussione libro utile/libro di svago: io credo – come altri hanno sostenuto nella discussione – che un buon libro narrativo è sempre di svago, altrimenti non lo leggeremmo, ma ci rende anche migliori, ci insegna qualcosa, ci fa riflettere, altrimenti è un libro stupido. Se non ci dice nulla di interessante, nulla che ci tocca da vicino, è un libro inutile. Ma questo riguarda secondo me la letteratura nel suo complesso, quindi di nuovo non può essere un aspetto utile a definire un particolare genere.
    Quindi come definire il genere? l’unica opzione che trovo quasi soddisfacente per la fantascienza è anche la più semplice: se è ambientato nel futuro e c’è una tecnologia avanzata rispetto a quella del tempo dell’autore, è fantascienza. Analogamente direi che se ci sono elfi e maghi ed è ambientato in un tempo non storico è fantasy.
    Mi incuriosisce poi l’associazione tra il fantasy e questa morale manicheista con un bene e un male ben chiari e addirittura personificati, mentre ad esempio nella fantascienza è tipica una complessità morale per cui non si riesce mai a individuare ‘il bene’, che anzi è sempre messo in discussione. Se la vediamo così Star Wars sembra più vicino al fantasy che alla fantascienza. che ne pensate?
    Per finire, l’idea che un genere sia per definizione più o meno in grado di evolversi e rimanere attuale mi sembra francamente un’assurdità, anche perchè non conosco nessun genere che sia diventato obsoleto per la sua intrinseca essenza, e anzi nessun genere che sia diventato obsoleto proprio.

  10. @Davide: è molto interessante l’analisi che fai del genere fantasy: della sua struttura che rispecchia un particolare momento storico, certe “aspirazioni” (“bei vecchi tempi”) che l’autore riversa sulle pagine da lui scritte, e nelle quali poi il lettore si riconosce.

    Il fantasy è un genere, credo (al massimo mi smentirete) alla portata di molti aspiranti scrittori (questo non lo dico per svilire il fantasy o i suoi autori), perciò immagino che anche oggi vi si trovi di tutto e nel numero è difficile individuare un autore interessante, uno che prova a scardinare certi stereotipi per spingersi oltre. Anzi, forse viene schiacciato dal “mercato” e magari da un pubblico mediamente “distratto”.

  11. Mettiamola così – gli aspiranti scrittori di solito si convincono che il fantasy sia facile.
    Non lo è affatto.

    Il fantasy richiede all’autore un’aderenza assoluta, ed una ferrea osservanza, di regole logiche diverse da quelle del mondo quotidiano.
    La società deve avere una struttura diversa dalla nostra (magari basata su modelli storici – ma allora tocca conoscere bene la storia).
    E’ necessario inventarsi una cultura diversa dalla nostra, con una storia diversa dalla nostra.
    Una politica diversa dalla nostra, una geografia diversa dalla nostra.
    Se esiste la magia, dovrà avere delle regole (fare incantesimi stanca? La magia si impara o è ereditaria? O entrambe le cose? Esistono limiti di massa/volume/distanza/tempo? Quali?) e queste regole non dovranno essre applicate arbitrariamente, ma essere costanti come comuni leggi fisiche…

    Per nessuno di questi elementi esiste un riferimento già confezionato – a meno che tu non scriva fantasy ambientato in un universo creato da altri (tipo Dungeons & Dragons, dove tutto il setting te lo forniscono precotto).

    Al confronto, scrivere fantascienza è più facile.
    Alieni? Un buon manuale di biologia.
    Pianeti sconosciuti? Un buon testo di astronomia…
    Ci si documenta, e poi si scrive. Ma col fantasy ci si documenta, poi si inventa, poi si scrive.

    Perché, sopra a tutto il castello preparatorio, devi metterci la scrittura.
    Devi avere una storia che funzioni, personaggi credibili, un buon intreccio…
    Questo in qualunque genere.
    Ma se immaginare un ispettore di polizia è facile, prova ad immaginare il guardiao di secondo livello della necropoli imperiale…
    Perché personaggi e trama dovranno essere coerenti col mondo in cui si svolgono.

    NO, il fantasy non è facile.
    E incidentalmente – nessun esordiente (credo) ha finora cambiato il volto del fantasy (nonostante quello che dicono gli strilli di copertina): i grandi balzi evolutivi li hanno sempre prodotti autori che avevano già una bella esperienza alle spalle (magari con altri generi).

  12. @Davide: sono d’accordo, i migliori sono quelli che hanno un bagaglio tecnico, di conoscenze, di esperienze, ampio.

    Non sono d’accordo sul fatto che scrivere fantascienza sia più semplice. Per costruire un mondo più o meno coerente nel fantasy basta consultare un manuale di storia e prendere spunto (ciò non significa che sia cosa da poco, io da un bel po’ come lettore ho abbandonato il fantasy perché trovavo solo cose piatte, mal scritte, buttate là, come si dice dalle mie parti).
    Organizzare coerentemente (se si vuole farlo bene) un mondo con tecnologie, computer, genetica, robotica, astro-fisica riferita a pianeti diversi dalla Terra, ecc. è un po’ più complicato, perché il mondo fantasy può essere anche e solo una trasfigurazione della realtà in cui viviamo, nella fantascienza o hai certe nozioni, o devi trottare parecchio per documentarti.

  13. Premessa – io parlavo di scrivere _bene_.
    Per scrivere bene fantascienza si fa meno lavoro che per scrivere bene fantasy – in linea di massima e con tutte le dovute eccezioni – perché nella fantascienza non è necessario inventarsi le leggi che regolano l’universo, nel fantasy si.

  14. Però è necessario conoscerle dannatamente bene quelle leggi, per non scrivere strafalcioni o cose impossibili. Invece circa il funzionamento della magia, ad esempio, uno scrittore fantasy è assolutamente libero, nessuno può dirgli: “ehi amico, ti sbagli, le cose non possono funzionare così”. Idem per sistemi di governo, mezzi di trasporto, per quanto riguarda la fisica (fiumi, sole, luna, stagioni, clima, ecc) nella mia esperienza di lettore ho sempre incontrato mondi fantasy che ricalcano il nostro.

    In ogni caso è vero che poi scrivere bene è moooolto difficile sia in un caso che nell’altro. E per entrambi i generi spesso ci sono autori che si prendono delle licenze, d’altronde restano pur sempre il regno della fantasia.

  15. Tornando sugli spunti del post, provo a esprimere la mia idea.
    Trovo limitante parlare di vecchiaia di un genere che nominalmente esiste da pochi decenni (in confronto al corpus letterario mondiale) ma che permea ed è permeato da tutto il percorso espressivo-linguistico-simbolico dell’uomo.
    Io credo che la fantasy non sia solo sword-and-sorcery, d&d, hobbit, pietre magiche, avalon, nebbie, draghi, incanti. Come del resto non è (solo) il finto pellame dei film anni ’80, gli effetti weeta, la computergrafica.
    Sono epifanie coerenti al tempo in cui compaiono (e per questo invecchiano, certamente) ma sono espressioni di un moto intellettuale e anche sociale che non si sopisce e non può essere circostanziato.
    Ora.
    Senza srotolare punti cardinali delle letterature mondiali, il fantastico, il prodigioso, l’altro e l’alterità, il monstrum, il meta-fisico sono tutti elementi cardine ogni espressione della storia. Non si tratta di un lecito ma circoscritto afflato alla “fuga dalla realtà” (chi ci crede più? Fuggiamo in rete: basta un doppio click). Si tratta della meraviglia di aspettarsi che il mondo caracolli da una parte e in una declinazione e realizzare che non va esattamente così. Oppure dalla doppia meraviglia di aspettarsi eventi che puntualmente si realizzano. Di questa meraviglia, o senso ontologico del fantastico, ne parla Aristotele nel primo libro della Metafisica.
    2300 anni fa.
    Cos’è cambiato da allora?
    Tutto. E sono cambiati gli ambiti del fantastico. La letteratura esprime l’ethos della civiltà che lo produce, ed è sempre morale. Anche quando volutamente non tratta di morale, non segue o propone modelli virtuosi demonizzandone quelli viziosi, si esprime moralmente. Allora (i greci che si chiamavano) Omero codifica leggi orali, costumi diffusi, tradizioni, miti, convinzioni religiose tra Iliade e Odissea. Ci sono più mostri e elementi fantastici e eventi contronatura (contro le leggi del mondo) che in ogni altro libro. Tra l’altro, la tradizionale traduzione che ci portiano appresso, la benemerita ma arcaica e polverosa versione in prosa di Monti, abbraccia la vecchiaia. E’ il linguaggio a cambiare, la morale a datarsi (l’eros greco acquisitivo non ha, per dire, nulla dell’amore post cristiano, dativo). Non la narrazione della meraviglia e del fantastico. A tradurla meglio viene fuori un best seller.
    Poi c’è la Bibbia: non sarà mica NON fantasy il vecchio testamento? Crederci o meno: questa è la vecchiaia. Ma matusalemme che vive 900 anni? Il cespuglio che prende fuoco? Metafore, parabole, anabasi. Poi parliamone di morale.
    Il Fedone di Platone? Le idee, l’iperuranio, il demiurgo, dei demoni dee divino immortalità…
    Tutti i bestiari del medioevo?

    Tornando alla morale: l’evoluzione della morale porta la morale a datarsi, non il fantasy.
    Il cambiamento del linguaggio porta la fabula a datarsi, non il genere in sè, che è un transgenere. Tempo 15 anni (o anche meno) il lavoro della Masini su Harry Potter o il linguaggio stesso della Rowling suonerà tradizionale prima e tradizionalista poi ai nostri figli.
    Thorne Smith, per dire, fa ancora ridere letto in inglese. BAsterebbe ritradurlo oggi. E ogni 10 anni. Mi rendo conto che sia estremizzato come discorso, però è così.
    “E poi i lettori invecchiano e – talvolta, con un po’ di fortuna – maturano.”
    E questo vuole dire che non ci sia più spazio per la meraviglia? Allora è una maturazione a metà…

    Quanto agli stilemi, io trovo già difficile scrivere. Figuriamoci ragionare sui generi e farne una classifica. Per dire. Mi piace Mc Ewan: non certamente uno scrittore di genere. Molto legato al mondo contemporaneo. In un suo libro fa rivivere al protagonista una scena fondamentale legata al suo stesso concepimento. Impossibile con le leggi del mondo dello scrittore. Un elemento meta-forico e meta-fisico. Eppure la sospensione del giudizio tra lettore e narratore non ne risente. Anzi. E’ l’unico modo per rendere quella scena.

  16. Guerre Stellari è un fantasy.
    l’Odissea è fantascienza.

    La discussione di queste due posizioni viene lasciata agli studenti come compito per il finesettimana.

    E per inciso – io non stilo classifiche.
    Affermo che oggettivamente fare del buon fantasy è più laborioso – richiede più lavoro – che fare della buona fantascienza, poiché richiede all’autore un maggiore lavoro di invenzione.
    Questo non vuol dire che chi scrive fantasy sia migliore di chi scrive fantascienza, o che il genere fantasy sia meglio del genere fantascienza.

    Il discorso sull’invecchiamento di lettori, morale, traduzione e linguaggio ma non del genere mi lascia perplesso – se tolgo lettori, linguaggio, idee… cos’è il genere?

    Oh, ed io Thorne Smith l’ho sempre solo letto in inglese.
    Ed è datato.

  17. @Davide C: il tuo intervento per quanto interessante e condivisibile su molti punti, è un intervento generale, il cui senso può applicarsi all’intera “letteratura”, all’intero significato di scrivere e leggere. Credo però che così facendo si tenda ad eludere la peculiarità (la problematicità se vogliamo) del fantasy-fantascienza che viene sfiorata solo di striscio.

    @Davide: condivido ciò che hai detto, neppure a me piace (perché credo non abbia senso) redigere classifiche di “qualità” (o difficoltà nello scrivere) non solo tra fantasy e fantascienza, ma anche tra fantasy ed “altro”, inteso come le restanti componenti e forme della letteratura. Purtroppo questo confronto, che vede il fantasy uscirne sempre sconfitto, va ancora di moda. Anche qui non si capisce però se solo di pregiudizio si tratti, o se qualche responsabilità l’abbiano anche le case editrici che troppo spesso pubblicano, e presentano con altisonanti squilli di tromba, dei prodotti non sempre all’altezza.

  18. Vale in generale la Seconda Legge di Sturgeon – il 95% è spazzatura.

    Le tonnellate di fantasy stupido e puerile sono controbilanciate dalle carretate di tie-in e spin-off di Star Trek nella fantascienza (ma anche, di certi tiepidi romanzi del brivido stile “La Signora in Giallo” per il poliziesco): opere più dattilografate che scritte, costruite in base ad una formula, citando una serie di elementi standardizzati (che quindi non necessitano di essere sviluppati), lungo percorsi riconoscibili e familiari al lettore.
    Chi è il colpevole?
    L’editore/spacciatore, il lettore pigro, il romanziere pennivendolo?
    Di sicuro, tutti e tre sono la vittima – il narratore perché macinando cliché non cresce, il lettore perché leggendo ciarpame ottunde il proprio gusto, l’editore perché riducendo tutto al mero profitto perde in credibilità.
    E tutti e tre perdono l’abitudine al rischio – provare qualcosa di nuovo, di diverso…

  19. @akasusa: è molto generale, sì. Ma io credo che quello che scambiamo per caratteristiche fondanti un genere siano solo le loro manifestazioni di superficie. Se riteniamo fantasy (o SF) libri con un impianto oltremondano di fisica (dove le scope volano ed esiste il salto a velocità luce), chimica (dove si materializzano serpenti o si teletrasportano molecole) e biologia, ce ne sono sempre stati, che è più o meno il senso del mio lungo sproloqui.

    @davide: fare fantascienza è aggiornare, migliorare, espandere, limitare le regole del mondo in cui viviamo. Nell’ambito fantasy il narratore può avere più margini di intervento e di inventiva. Ma a inventare nuovi mondi con scienze aliene coerenti è difficile quanto scrivere l’epica della razza elfica o nanica. Se tolgo lettori, linguaggio, idee, tolgo il genere: hai ragione. Però i generi sono sovrastrutture concettuali. Alla fine non togli o aggiungi nulla. Per me (lo si sarà intuito) esistono libri buoni e libri meno buoni.

  20. Mi rendo conto che a intervenire a questo punto della discussione si corrono alcuni rischi, primo tra tutti dare la sensazione di scegliere “il meglio” di quanto già detto e distillato dagli altri. In secondo luogo di intervenire un po’ “a pera” seguendo un proprio filo di ragionamento piuttosto che ponderando con attenzione. Comunque sia ci provo. Ancora soltanto un’osservazione preliminare: mi fa non poco piacere assistere a un dibattito tanto ricco in questo spazio. È esattamente il motivo per il quale è nato, certo, ma vedere il desiderio farsi realtà non cosa di tutti i giorni.
    Personalmente non leggo fantasy. “Scottato” da alcune brutte esperienze e, probabilmente, dallo scarso rigore degli autori tradotti in italiano. Che cosa intendo per rigore? Cerco di spiegarmi: è ben vero che nessuno può intervenire per dire a un autore: «Questa magia si fa così, non così» ma si può pretendere coerenza, attenzione, intelligenza, capacità di costruire trame e intrecci credibili. In più: il fantasy può permettere – in modo meno complesso della fantascienza – di introdurre l’«esotico», ovvero popolazioni, luoghi, abitudini, costumi e riti inattesi e sorprendenti. Ma si tratta molto spesso di occasioni che non vengono colte (talvolta neppure immaginate) per seguire tracce e situazioni consuete. Apprezzo questa possibilità e potenziale ricchezza del fantasy
    e molto meno il modo nel quale queste vengono abitualmente sprecate (sempre parlando della produzione abitualmente tradotta per il pubblico italiano).
    Concordo con Davide C sull’osservazione in merito alla letteratura che si divide in due generi: buona e no, senza alcun sottogenere. Il problema è che fantasy, sf, giallo, horror hanno forme ormai codificate (come l’hanno, peraltro, anche il bildungsroman o romanzo di formazione, il romanzo familiare, il romanzo giovanile, il romanzo più o meno auto/biografico, il rosa ecc. ecc.) e le forme codificate permettono di “tirare via” storie anche mediocrissime che però in quel momento hanno comunque un ampio pubblico. E a questo punto si dovrebbe inevitabilmente allargare il discorso e cominciare a interrogarci sul funzionamento del business in editoria…
    In quanto alla “funzione” del fantasy – o di qualsiasi altra forma narrativa – mi sembra un po’ elementare postulare che si legga fantasy per sfuggire al nostro mondo dove, magari, siamo sconfitti, per poter diventare angeli vendicatori tra le pagine di libro. Credo sia funzione di TUTTA la narrativa fornirci di ulteriori elementi di giudizio e analisi del mondo nel quale viviamo e questo mentre comunque ci divertiamo (ovvero di-vergiamo dal nostro consueto approccio al reale). Posso essere atrocemente deluso di certe cose di Moravia o di Hemingway, per dire, e felicemente sorpreso di certe pagine di Jack Vance o di Chesterton, proprio perché (nell’occasione e in quelle pagine) i primi non mi hanno fornito alcuna nuova interpretazione del mondo mentre i secondi sì.
    Sono convinto che la letteratura, ogni letteratura, non abbia comunque scopo o funzione ma soltanto una fenomenologia.
    E mi fermo qui, un attimo prima di diventare tossico.

  21. @ davide c – esattamente!
    Il mio punto è che proprio la maggior libertà dell’autore nell’affrontare il fantasy lo obbliga ad un maggior rigore, e quindi ad una mole dilavoro maggiore.
    Ma evidentemente il rischio di inserire contraddizioni interne, anacronismi, arbitrarietà e falle logiche è un problema che ho solo io.
    D’altra parte io mi fiscalizzo come scrittore di fantascienza, mica di fantasy 😉

    Un’ultima cosa che vorrei puntualizzare, comunque – osservare la maggiore o minore difficoltà (evidentemente soggettiva) di una certa pratica non significa costruire classifiche.
    Se dico che il cinese è più difficile dello spagnolo, non sto stilando la classifica delle lingue buone e delle lingue cattive, né sto dicendo che Pu Sung Ling è inerentemente migliore di Cervantes.

    @maxciti – amen.

  22. Credo che per tutti noi valga come linea di riferimento ultima: i libri si dividono in due categorie: belli o brutti.
    Come è vero che il “genere” (fantasy, fantascienza, noir, giallo ecc.) è facilmente, per caratteristiche intrinseche, legato a tutte le altre forme letterarie, e così senza paura di dire un’eresia Davide (in un precedente commento) assimila l’Odissea alla fantascienza magari come spunto di discusione (Guerre stellari fantasy, Odissea fantascienza).
    Ciò che è interessante fare qui, credo, sia sviscerare però le peculiarità proprie del fantasy (da questo siamo partiti discutendo dell’articolo) non ciò che ha in comune con il resto. Lo dico prevalentemente per una questione egoistica, dato che da un po’ ho abbandonato il genere mi piacerebbe capire che sviluppi ha avuto, come si è evoluto se si è evoluto; e, capendo quali siano a grandi linee gli stilemi alla base della struttura fantasy, vedere se (come dice maxciti55: forme codificate) si possa andare oltre quelle forme codificate e se qualcuno l’abbia già fatto. In barba ad editoria truffaldina e pubblico facilone.

  23. Una cosa che si potrebbe fare – e che proviamo a fare subito – è chiedere ai nostri surfisti di segnalare quello che considerano il romanzo fantasy più originale che abbiano letto, con un paio di righe di spiegazione sul perché lo considerino come tale.
    In questo modo, oltre a costruire una ideale biblioteca di riferimento, potremmo facilmente definire i confini del genere, senza stare a “perder tempo” con i classici ed i loro cloni.

    E intanto alleggeriamo un po’ la coda dei commenti a questo post, che per alcuni comincia ad essere lunga da gestire 😉

  24. Pingback: Fantasy - il romanzo più originale « ALIA EVOLUTION

  25. Prima di tutto, un grosso saluto a tutti.

    Caspita. Mai più pensavo che il mio articolo potesse portare a una tale discussione!
    In effetti, ci sarebbero molte più cose da dire sul fantasy, ma vorrei puntualizzare che non è un genere che esiste da pochi decenni.
    Il fantasty esiste da sempre.
    Ed è assolutamente vero che non vi è sempre una netta distinzione tra bene e male come succedeva tempo fa, ma alla fine c’è sempre un eroe (con i suoi difetti) che lotta per far valere gli ideali in cui crede.
    Vero anche che non deve essere solo divertimento, ma anche riflessione e apprendimento.
    Io non trovo avvilente il fatto di poter evadere dalla realtà che non sempre è come noi vorremmo. E non parlo della nostra realtà singola, ma della realtà in toto… quella che guardiamo da lontano e per cui da soli non possiamo fare nulla.
    Forse non mi sono spiegata in quel senso. Non intendevo solo la nostra vita con le sue gioie e i suoi guai… parlavo di qualcosa di più vasto e su cui non abbiamo possibilità d’intervento. Leggere e fantasticare fa staccare la spina davvero. Per un po’ dimentichi tutto quello che ti sta attorno, che magari ti rende nervoso, triste, angosciato. Leggi e viaggi in altri luoghi e per un po’, puoi dimenticare…

  26. Benvenuta a bordo, Simona.

    Credo che il volume della discussione sia una riprova del’importanza degli argomenti che hai toccato nel tuo articolo. Non per l’universo intero, forse, ma per lo meno per alcuni di noi – che con la narrativa d’immaginazione abbiamo un rapporto più intimo – si tratta di questioni degne di essere dibattute.

    Il fantasy esiste da sempre, dici.

    E come negarlo….
    L’Epica di Gilgamesh (l’esempio più comune) ha tremila anni, e narra di eventi epici e colossali: l’amicizia fra il protagonista e il semiumano Enkidu, la caccia al demone Humbaba, l’ira di Ishar che scatena il Toro dei Cieli… visite al mondo dei morti ed al mondo dei sogni, un diluvio universale…

    Eppure….
    Perché si possa parlare di fantasy, io credo, è necessario che pubblico ed autori abbiano una chiara idea di cosa è possibile e cosa no, e decidano di dedicare una parte della propria attenzione all’impossibile (per diporto e edificazione).
    Per l’autore ed i lettori del Gilgamesh, Ishtar e Humbaba sono ben reali, ed incontrarli è possibile (anche se improbabile, e sconsigliabile).
    Visite al mondo dei sogni? Quasi ogni notte. Il diluvio? Una certezza storica. Semiumani? Dovresti vedere il marito di mia sorella…
    Insomma, quella storia non nasce come fantasy ma, casomai, come fantascienza; non è mai accaduta, forse, ma potrebbe capitare.

    Poi passano gli anni, e la percezione del pubblico cambia.

    Lo stesso vale per l’Odissea. Il pubblico sente l’episodio di Polifemo e non pensa “Bello, ma i ciclopi non esistono.”
    Piuttosto pensano “Già, Ulisse… vorrei vederlo, ad incontrare davvero un ciclope…”
    E’ fantascienza, non fantasy – storie immaginabili su qualcosa che potrebbe accadere davvero (anche se è molto improbabile).

    Per poter avere il fantasy – la letteratura del non possibile – dobbiamo avere una percezione corretta del possibile. Quindi, il fantasy non è tale fino alla comparsa sulla scena di Galielo Galilei.

    E il fantasy moderno, quello che leggiamo noi, ha le sue origini nel lavoro dei preraffaelliti – poco più che cento anni or sono.

    Ciò che esiste da sempre è la narrativa – la descrizione dell’immaginato anziché del fattuale.
    Lo scopo della narrativa, di tutta la narrativa – è di offrire modelli.
    Affrontare un argomento serio, e manipolarlo, rivoltarlo, ricombinarlo.
    Pochi generi narrativi riescono a farlo meglio, o con maggior pervasività, del fantastico.
    Poi c’è il divertimento – senza il quale la narrativa non sopravvive.
    E’ un po’ come il sesso – lo facciamo pèerché è divertente, non perché mantiene viva la specie.
    Noi esseri umani facciamo solo ciò che ci piace – se leggere strane avventure fosse solo utile e non anche divertente, avremmo smesso.
    Ma lo scopo della narrativa non dev’essere farmi dimenticare il mondo in cui vivo, ma farmi guardare ad esso con prospettive diverse.

    Opinione personale, naturalmente.

  27. Sostanzialmente, mi pare ci sia un po’ di confusione tra letteratura fantastica e letteratura fantasy. Le due definizioni vengono spesso associate insieme, ma hanno alcune caratteristiche differenti. La prima puo’ includere la seconda, la fantascienza o anche l’horror, ma resta fondamentalmente un insieme piu’ grande. Dice bene Davide quando afferma che Gilgamesh (poi a me personalmente sta piu’ simpatico Enkidu!) e l’Odissea non rientrano nel fantasy. Difficile pure farvi entrare opere piu’ vicine a noi come L’Orlando il furioso o includere poi testi quali il Mahābhārata.
    Quindi, per le origini del fantasy moderno (ma mi pare un controsenso utilizzare tale definizione dato che non esiste un fantasy antico ma piuttosto il mito, la leggenda, l’epica ed il fantastico) vanno possibilmente ricercate nei preraffaelitti che si figuravano un medioevo immaginario ed ideale. Il che spiega anche in parte perche’ spesso il fantasy moderno (anche se le cose stanno cambiando) ha proposto ambientazioni di tipo celtico-anglosassone-mediovale.
    Resta a mio parere il quesito essenziale se dobbiamo ora definire fantasy solo quelle opere che aderiscono ai canoni di un’ambientazione appartenente alla tradizione nord europea o includere anche racconti con Jin arabi, mostri del folklore estremo orientale scritti nei paesi non anglofoni (ed anche in quelli perche’ abbiamo, per dire, storie di dinosauri nel Far West piu’ fantasy che non SF). Se si’, in quel caso ci troveremmo di fronte a regole e strutture frequentemente concepite in modo totalmente diverso e definire delle regole, se pur vaghe, del fantasy sulla base di presenze di elfi o nani, buoni contro cattivi (concetto che ha diverse sfumature a seconda dei paesi del mondo) mi pare inutile.

  28. Aha, non esattamente un controsenso.
    Parlo di fantasy moderno perché, a ridosso dell’Illuminismo e prima del revival pre-raffaellita, vengono prodotte una serie di opere fantastiche che sono formalmente fantasy, ma raramente vengono inserite nel “canone” e se ne discostano per diversi aspetti.
    Penso alle varie opere relative al barone di Munchausen, ad esempio, o all’edizione Galland delle Mille e Una Notte.

    Il problema classificativo deriva dal fatto che “fantasy” è sia una parola inglese che significa “immaginario” ma indica anche un genere merceologico più o meno definito.
    Io rimango fedele alla definizione di Clute (via Attebery):

    “un testo fantasy è una narrativa internamente coerente che, quando ambientata nella nostra realtà, racconta una storia che è impossibile nel mondo che noi percepiamo; quando è ambientata in un altro mondo o in un mondo secondario, quell’altro mondo risulta essere impossibile, ma le storie ambientate in esso risulteranno possibili nei termini di quell’altro mondo”
    (da Clute & Grant, Enciclopedia of Fantasy, Orbit, 1997).

    Niente elfi, niente nani.
    Nessuna necessità di porre limiti contenutistici a parte questi – che sono, come dice Clute “fuzzy”, ma funzionano.

  29. Bene. Allora possiamo parlare di un proto Fantasy a partire dal diciottesimo secolo. Trovo la definizione di Clute ottimale. Pone pochi limiti ma precisi e lascia ad un genere che di per se’ ha la sua forza nella mancanza di barriere un grande spazio di manovra.

  30. la definizione di Clute mi soddisfa, ma non sono del tutto d’accordo sul mettere l’Odissea tra gli scritti di fantascienza.
    Anche seguendo tale definizione, mi pare rientri perfettamente nel fantasy.
    Opinione mia ovviamente, ma sono pronta a cambiarla perchè di certo non sono una super esperta!!!

    Quali sono gli elementi che contraddistinguono un romanzo di fantascienza?

  31. Per parafrasare Clute, un romanzo di fantascienza è una narrativa internamente coerente, che quando è ambientata nella nostra realtà (in un tempo diverso, ad esempio), racconta una storia che è possibile (per quanto improbabile) nel mondo che noi percepiamo; e quando è ambientata in un’altra realtà (universo parallelo, mondo virtuale, etc.) pone delle regole per cui quell’altro mondo risulta essere possibile, e le storie ambientate in esso risulteranno possibili nei termini di quell’altro mondo .

    La fantascienza è la narrativa del possibile, il fantasy la narrativa dell’impossibile.

    La fantascienza è più strettamente legata alle cognizioni scientifiche del tempo.
    Ai tempi di H.G. Wells era accettabile immaginare che Marte fosse abitato, e da una razza più antica degli umani, e quindi l’idea che i marziani invadessero la terra era una possibilità ragionevole.

    Allo stesso modo, per Wells e contemporanei era ragionevole immaginare di poter viaggiare nel tempo come si viaggia nello spazio. “La Macchina del Tempo” è fantascienza (datata).
    Oggi noi lo consideriamo fisicamente impossibile, e le storie di viaggi nel tempo (specie indietro nel tempo) scritte oggi sono per forza dei fantasy (anche se magari conservano lo stile e i cliché della fantascienza).

    Ai tempi di Omero, interagire con le divinità, incontrare strani mostri e venire occasionalmente tramutati in maiali erano cose che potevano capitare. Perciò Omero non descrive qualcosa che lui o il suo pubblico considerano impossibile. E’ fantascienza.
    Vecchia di due millenni, ma è nata come narrativa del possibile.

  32. Il ragionamento di Davide mi piace e mi affascina, ma sono personalmente convinto che la definizione di sf sia legata alla rivoluzione industriale e allo sviluppo tecnologico degli ultimi due secoli. Sono, insomma, fedele al concetto di “novum” espresso da Darko Suvin nel suo “Le metamorfosi della fantascienza”, dove per novum si intende la creazione di un universo nel quale una scoperta o invenzione hanno mutato le coordinate del rapporto dell’umanità con il reale e il possibile. È bello pensare che gli antichi dori credessero fermamente alla possibilità di essere trasformati in maiali da un’entità maligna, ma credo che anch’essi lo ritenessero comunque un evento legato a una situazione non quotidiana, a un “meraviglioso” non del tutto comprensibile anche se poeticamente seducente. E la fantascienza non è letteratura del meraviglioso.
    Insomma, se tutti noi dobbiamo realmente fare i conti con il mercato degli organi e con nuove molecole psicotrope che mutano il mondo nel quale viviamo i dori o chi per loro ritenevano che il mondo fosse essenzialmente immutabile e che il problema principale di chi lo abitava fosse quello di non contravvenire qualche norma non scritta. Il mondo postulato dalla sf è per sua stessa natura instabile e non completamente definito, legato alla causalità scientifica e soggetto contemporaneamente al peso del passato e alla pressione del futuro. A cambiare, rispetto al pensiero “magico” è l’approccio razionale al reale.

  33. a questo punto mi tocca fare la parte della reazionaria: non sono d’accordo sull’applicare categorie letterarie moderne ai testi antichi.
    L’odissea è mitologia, che è una fonte di ispirazione per la letteratura fantastica, ma non vi rientra. E’ buono come esempio per far capire l’idea che suggerisce davide (racconto di cose possibili nel nostro mondo o in un altro), ma non di più. Inoltre è ambientata nel passato, non che non possa esserci fantascienza ambientata nel passato, ma sarebbe più un mondo parallelo che un vero passato… e non credo che i greci credessero veramente che queste cose potevano capitare!ma questa naturalmente è una mia contestabilissima idea.
    tornando a noi, fantasy e fantascienza sono generi letterari moderni e non li applicherei ad altro, se non come gioco mentale.
    non sono neanche d’accordo che racconti di viaggi nel tempo scritti oggi non sarebbero fantascienza, in fondo si può sempre immaginare che scopriremo qualcosa di incredibile. già i quanti sono una cosa incredibile e se uno scrittore di fantascienza li avesse immaginati prima probabilmente l’avrebbero tacciato di fare metafisica.

    vi butto lì un’altra idea: e se i generi letterari si definissero meglio per “somiglianze di famiglia” che tramite un’unica e precisa definizione? ovvero un’insieme di tratti per cui se cen’è un certo numero allora l’opera appartiene a un genere, anche se non è possibile rintracciare LA caratteristica comune a tutti.

  34. @ Max
    Mai fidarsi di uno che si chiama Darko…
    Se la fantascienza non è letteratura del meraviglioso, allora cosa me ne faccio del “Sense of Wonder” di Hamiltoniana memoria?

    @ Chiarac
    Definire il genere come “l’autore (o gli autori) che so cercando di imitare” è probabilmente la definizione più onesta che si possa dare.
    E risolve tutti i problemi.

  35. Che dire?
    La discussione è interessante davvero e voi siete persone con cui è bello confrontarsi.
    Secondo me il limite tra fantasy e fantascienza è davvero molto, molto sottile e spesso non si sa di preciso come “catalogare” un romanzo.
    Verissimo che Odisse e co. siano mitologia e se si deve fare un’analisia approfondita e corretta non si può nel modo più assoluto non considerare il tempo in cui sono stati scritti.

    Ma se per un attimo non pensassimo al tempo. Se non sapessimo da chi e quando sono stati scritti?

  36. Per Davide:

    Ho ben presente il «sense of wonder», in fondo scrivo (anche) fantascienza (:-)
    Direi che in questo caso non stiamo parlando dello stesso «meraviglioso». Il meraviglioso al quale mi riferisco – abbiano pazienza gli intervenuti, ma è difficile tentare di essere esaurienti e nel contempo non occupare troppo spazio – è quello tipico della fiaba, delle letterature tradizionali e dei narratori mitteleuropei del XVIII, XIX e XX secolo (Raspe, Hoffmann, Von Arnim, Meyrink, Kubin fino al quasi-contemporaneo Lernet-Holenia). Il «Meraviglioso» in questo caso ha caratteristiche soprannaturali, assumendo talvolta anche le sembianze del mistico, del demoniaco e della folle. In questo senso il meraviglioso, così pienamente irrazionale, non ha nulla a che vedere con la sf che è comunque figlia del pensiero scientifico. Osservare un cielo stellato e constatare la grandezza dell’universo in rapporto alla nostra piccolezza è una forma di meraviglioso (stupore?) piuttosto diversa, compresa negli scopi statutari della sf.
    È partendo dalla definizione – tutta letteraria – di «meraviglioso» come «irrazionale» che mi sento spinto a pensare che opere scritte prima della rivoluzione industriale non possano essere – a qualsiasi titolo – inserite nel campo della sf. L’Odissea come le storie meravigliose di Luciano di Samosata (dove, peraltro, c’è la prima battaglia tra specie aliene della letteratura occidentale: solari contro lunari).
    In quanto a Darko Suvin, nessun legame con Donnie Darko e mi scuso se ho dato per scontata la sua conoscenza. Ungherese, è uno dei maggiori studiosi e critici della sf, tradotto in Italia da Il Mulino oltre che amico personale e corrispondente di Vittorio Catani.

    Per Simona

    Penso che ignorare l’identità dell’autore non cambierebbe molto. Sono personalmente convinto che la realtà socioculturale entri necessariamente nella narrativa, anche se l’autore racconta di una storia avvenuta “tanto tempo fa in una galassia lontana lontana”. Non nel senso banale che nelle fiabe di Yeats nessuno fa una telefonata, ma nel senso che il linguaggio sarà necessariamente diverso e soprattutto che le interazioni tra le persone e tra le persone e gli ambienti saranno legate alla loro visione del mondo. Un esempio: sto valutando la possibilità di scrivere un romanzo ambientato in un mondo simile alla Russia del XVI secolo e sto raccogliendo info in proposito. Bene, è difficilissimo “entrare” nella mentalità di un boiaro o di un pope, quando per il primo ogni riferimento al reale passa per il senso di appartenenza e di possesso – di legame, in breve – con la terra, mentre per la mentalità del secondo è centrale il rapporto con un Dio lontano e imperscrutabile. Se anche riuscissi a compiere una perfetta mimesi e a (ri)scrivere la storia di Boris Godunov qualsiasi lettore smaliziato mi pescherebbe in castagna senza troppe difficoltà.
    Ciò che scriviamo è comunque parte dei nostri tempi.

  37. Non ne dubitavo.
    Ma la tua precedente osservazione mi ha ricordato che non si trattava di un riferimento recente – una volta avevo tempo e modo per cercare riferimenti critici sulla fantascienza, adesso mi è rimasto soltanto il nuovo Robot… – e mi è parso utile presentarlo a chi passa da queste parti.

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