Scrivere fantascienza in tempi bui

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Beh, dopo tanto riflettere, meditare, considerare, osservare direi che adesso è venuto il momento di perdere un po’ di tempo, cominciando – per esempio – a considerare come si scrive o non si scrive un romanzo di sf.

Correte perditempo…

La sf è un genere di letteratura che in Italia è praticamente morta. Il poco che ne appare può essere mooooolto vecchio e pubblicato per risparmiare sui diritti d’autore, come nel caso di Urania, o attentamente celato sotto una denominazione di comodo: «Un romanzo sorprendente» o «Un’avventura dai curiosi risvolti». MAI presentare la parola «fantascienza», in copertina come nei risguardi.  Se volete scrivere sf e sperate di trovare un editore che ve lo acquisti e lo distribuisca – parlando di un vero editore e non di un tipografo briccone – dovrete considerare che in Italia non esistono più editori di sf e che il vostro lavoro nasce handicappato in partenza, anche più del solito.

Ma se non esistono più – o quasi – editori attenti alla sf, qualche lettore esiste ancora. Certo, si tratta di lettori spesso troppo non più giovani, quindi particolarmente difficili e schifiltosi, o allegri pischelli – detto con tutta la possibile simpatia – quindi non sempre così pronti a riparametrare le categorie mediali tra il libro, il film e il videogioco. Non saprei dire se per un autore è preferibile essere paragonato a “un misto di Lloyd Biggle e di Van Vogt ma privo del giusto rapporto con la speculazione scientifica” o  “un Assassin’s Creed 4 giù di pile” e lascio a chi mi legge il privilegio di deciderlo. Però i lettori esistono ancora anche se, come azzardavo nel post precedente, astuti come personaggi di Jack Vance, vecchi leoni prevenuti contro i decennali bidoni editoriali o a corto di denaro come certi giovani di mia conoscenza, pronti a scaricare aggràtis e a impugnare l’e-reader siccome fulminatore a raggi. Con lettori di questo genere gli editori hanno deciso da tempo che non c’è trippa per gatti e che è meglio abbandonare il campo, fingendo che la fantascienza sia defunta come il melodramma, il romanzo d’appendice e il poema cavallesco.

E un poveretto che si ostina a scrivere sf che cosa deve fare? Beh, sicuramente rinunciare da subito a qualsiasi sogno di gloria. A meno – cosa della quale sono assolutamente incapace –  di essere pronti, come Francesco Troccoli e il suo Ferro sette, a un lavoro capillare (e interminabile) di avvisi tramite web sull’esistenza, propria e del proprio libro. Se non vi sentite pronti a suonare virtualmente tutti i campanelli della nazione per avvisare che il vostro libro è uscito,  rinunciate, come si diceva, ai sogni di gloria.

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Ma rinunciare non significa non scrivere e tacere per sempre. Si può scrivere ugualmente, anche se fatalmente sprovvisti di un mastino – pardon di un editor professionista – che vi mastichi le caviglie obbligandovi a terminare un libro, a non superare un certo numero di cartelle, a evitare certe situazioni, a enfatizzarne alcune e a tagliarne altre. L’unico editor con il quale avrete a che fare sarete voi stessi, un editor eccessivamente cattivo in alcune occasioni e tragicamente distratto in altre.

È umano, anzi fatale, commuoversi leggendo le proprie righe. Trovarle bellissime, estramamente espressive, ricche di riferimenti e di notazioni, intelligenti e sorprendenti, rapide ed efficaci, malinconiche e insieme sardoniche. La cosa che appare curiosa è che gli altri non colgano tanta ricchezza e notino qualche particolare di interesse minimo o trascurabile. Bene, una delle prime cose da imparare è che se è abbastanza logico intenerirsi leggendosi. come giovani madri davanti ai propri frugoletti, non si può pretendere nemmeno ipoteticamente che questo possa accadere a coloro – pochi o tanti che siano – che vi leggeranno. È bene ricordare che scrivere è un lavoro ingrato, dove vi capiterà di sentir parlare benissimo e per i motivi sbagliati di un testo che reputate uno dei vostri minori e malissimo, e magari con qualche ragione, di un testo che amate intensamente e che considerate meraviglioso.

Ma sto andando fuori tema. Si stava parlando di sf, ovvero di una delle passioni letterarie della mia vita. Il numero di libri di sf letti nel corso del mezzo secolo e passa della mia vita è di diverse migliaia, tenendo conto che, visto il mio lavoro per trentasei anni,  non ho  letto soltanto fantascienza. E si diceva che la fantascienza è in crisi, particolarmente qui in Italia. Sui motivi meriterebbe – e sicuramente meriterà – parlarne in questo blog, ma un brevissimo accenno merita farlo. La fanta / scienza ha visto via via separarsi le due parti del suo nome. Da una parte un fantastico non più legato a una proiezione completa, razionale e quindi credibile dell’esistente, dall’altra a una scienza che si è spezzata in mille e mille rivoli di specializzazioni inafferrabili e ha puntato su prospettive che non mirano più al benessere generale, nè – e questo è particolarmente interessante – a una possibile apocalisse definitiva. Il linguaggio attuale della scienza è straniante, pericoloso, talvolta manicheo, spesso addomesticato. Nel gioco del futuro è entrato il nostro pianeta – l’unico – e l’epidemia come trasmissione di un malessere contagioso ha soppiantato l’apocalisse. Gli autori di sf sono diventati meno infantili, l’estetica letteraria è lentamente filtrata nei loro testi finendo col selezionare un genere di lettori meno di bocca buona di un tempo. Autori come McEwan, McCarthy, Murakami, Mitchell, Ishiguro e altre centinaia di scrittori hanno “saccheggiato” gli stilemi della sf per raccontare il nostro mondo senza che sui loro libri sia comparso l’infame logo “fantascienza”. La fantascienza non è morta, semmai dovremmo prendere atto che ha conquistato la letteratura. Se poi in Italia questo non accade temo che il motivo sia nella politica delle case editrici e nella fenomenale “ignoranza delle persone colte”, quelle per cui la cultura e la scienza battono strade differenti.

mccarthyMa, come accennavo, ritornerò su questo discorso. Anche perché perlomeno un pensierino su come viene concepito attualmente l’universo rispetto a come veniva spiegato anche solo dieci anni fa merita farlo. Per quanto mi riguarda, infine, ritornerò presto sul perché e su come si scrive fantascienza, perlomeno secondo il mio personalissimo punto di vista e ovviamente invito altri autori a farsi vivi, a raccontare e a raccontarsi. Anche perché… no, poi ne riparliamo.

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Sull’apparente tramonto del fantastico

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«Una comunità dedicata alla letteratura d’immaginazione» è scritto nell’intestazione di questo blog. Molto vero, anche se della comunità per il momento sono solo io a dare qualche segno di vita. Ma questa non è la cosa davvero importante, la cosa importante è che non solo noi “comunitari” funzioniamo a corrente alternata ma anche la letteratura d’immaginazione non se la passa troppo bene. Lo spunto per questo intervento mi è stato gentilmente fornito da Nick di Nocturnia con il suo post dedicato alla letteratura fantastica, a sua volta ispirato dal post di McNab75 di Plutonia Experiment. “Un ventennio di desertificazione” è il modo nel quale McNab75 presenta il tramonto del fantastico, mentre Nick parla di “Un naufragio del quale anche noi siamo responsabili”.

Ovviamente, da appassionato di fantastico più o meno dalla più tenera età non posso che dirmi d’accordo con entrambi anche se… No, non intendo fare un lungo discorso ma soltanto mettere in rilievo alcuni elementi del paesaggio che merita notare.

Il rapporto con i libri e la lettura.

In Italia, come dovremmo sapere tutti i lettori di almeno dodici libri all’anno sono un 5-6% della popolazione nazionale, poco più di tre milioni di persone, delle quali più della metà donne. Una percentuale che non è cambiata dagli anni ’80 e che nel 2011 ha visto anche un significativo calo, nel senso che l’ISTAT denunciava un diminuzione di 400.000 unità, probabilmente in parte dovuta a una reale diminuzione di libri letti/anno e in parte a una certa confusione delle domande (quanti libri ha comprato nel 2010?) e delle risposte tra libri cartacei ed e-book. Ma, come ci spiega il sito di Pandemìa.info, se di una reale diminuzione si tratta è necessario cominciare a riflettere sulla situazione e sulle possibili vie d’uscita. Di cominciare a progettare una politica per la lettura reale, necessariamente a tempi medi o lunghi ma vitale per la stessa sopravvivenza della lingua italiana alla quale, come tutti coloro che scrivono, sono piuttosto affezionato.

Un calo di lettori è comunque una sconfitta per la cultura italiana, inutile far finta di nulla. E sinceramente non credo si tratti di un problema di generi – non che manchi un certo snobismo tipicamente italiota nel presentarsi come raffinati intellettuali che dispregiano la mid-cult e il fantastico, ma questo è sempre esistito – ma di un problema più generale di profonda crisi nato da una sostanziale mancanza di progettualità culturale. La progettualità culturale, in sostanza, è il mettere in atto tutti i possibili meccanismi che risveglino la curiosità intellettuale dal livello locale fino a quella nazionale. Una politica culturare può essere condotta dalla biblioteca vicino a casa vostra, dalla scuola di vostro figlio, da un’associazione culturale o da un circolo privato così come dalle tivù locali o dalla RAI. Può essere una pubblica lettura al giovedì come uno sceneggiato televisivo in dodici puntate, un film per la tivù, un programma nelle ore di massimo ascolto, quello che volete. Basta che l’ente pubblico decida di farlo.

Biblioteca«Ma perché non si fa? Perché nessuno fa nulla?»

Non è giusto dire che l’ente pubblico non ha fatto nulla, anche se oggi siamo giunti in fondo alla discesa. Una parte del problema – e penso che molti possano fare esempi tra le proprie conoscenze – è che i fondi degli enti statali e locali sono stati spesso accaparrati da una serie di cacicchi ex-politicamente impegnati, riciclatisi come “operatori culturali” e sostanzialmente inamovibili. Questi hanno rincorso progetti cervellotici di zero ricaduta nel tempo e scarso interesse generale, finendo con l’allontanare e scoraggiare i veri talenti. Detto per inciso è di questo genere di soggetti che parla un libro certamente discutibile ma sicuramente utile come Kulturinfarkt appena uscito in Germania, che propone di «Azzerare i fondi pubblici per far rinascere la cultura».Ciò che non è passato per il funzionariato, comunque, è stato impiegato in interventi a pioggia di utilità pari a zero. Se e quando riapparirà la possibilità di creare e sostenere progetti culturali si dovrà riflettere e non poco sulle modalità e sui mediatori dei progetti.

Ma peggio, molto peggio di loro hanno fatto gli operatori economici per antonomasia, i grandi editori – di libri, film, televisione e di tutto quel che volete – che hanno sistematicamente puntato sul margine di utile più facile e immediato. Quindi programmotti scemi, libri da una sola stagione, cinepanettoni. Mai pensare al futuro, mai preoccuparsi di chi verrà dopo. Per la cultura si è fatto, in sostanza, ciò che si fa per la natura, cementificando, inquinando, distruggendo.

«Perché non si pubblica più fantascienza?», semplice, perché il pubblico della sf in Italia è non soltanto (relativamente) ridotto ma anche dannatamente furbo e chiunque voglia operare in tale settore dovrà mettere in conto di lavorare in perdita per anni. Oppure dovrà lavorare a bassi costi (de me fabula narratur) e con una distribuzione rudimentale.

«Perché esce soltanto fantasy sciocchina?», perché i diritti di traduzione da qualche anno a questa parte costano maledettamente e gli autori adulti fanno un sacco di storie sui diritti d’autore. Non è forse meglio un giovane pisquanello senza tanti grilli per la testa, miracolato per la pubblicazione e con tantissimi amici?

«Perché l’horror è così seriale? Perché non esiste più un fantastico quotidiano come piaceva a Calvino?». Beh, provate un po’ a rispondervi da soli, basandovi anche sul dato di fatto che se da un lato c’è sempre meno tempo per leggere dall’altro Mondadorifeltrinellirizzoli devono pur guadagnare. Ovvero sopravvivere.

sopravvivereI tavoli delle novità librarie sono qualcosa di desolato, nel settore del fantastico ma non solo. Ed è qui il punto nevralgico della discussione: la situazione va avvitandosi rapidamente e a un’offerta basata sulla necessità di rientri sempre più ravvicinati fa riscontro un pubblico deluso che non compra. Che non guarda. Che rinuncia.

Il problema, in sostanza, non riguarda soltanto il fantastico e non riguarda soltanto i libri. O, se preferite, gli e-book. Non siamo in fondo alla discesa, ma non manca molto. E i blogger sono incredibilmente tra i soggetti di una possibile rinascita. I blogger sono infantili, litigano per un nonnulla, sono rissosi, vanìagloriosi, ottusi e narcisi? Certo. Ma cercano di scrivere, di pubblicare, di creare un ambiente vivo e vitale, ricettivo, che nei casi migliori si sforza di guardare al futuro, di preparare i fondamenti di una nuova editoria.

Se l’Italia ha qualche speranza per il futuro questo è anche tra le pagine trascurate di migliaia di blogger. Non smettiamo, per carità. Non cediamo, non scoraggiamoci. Ne va del nostro futuro e della nostra lingua.

Di meglio, a pensarci bene, non abbiamo nulla.

Qualcosa bolle in pentola

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Voi direte: «Mah, ALIA Evolution è un ex-blog. È più di un anno che non esce più nulla». Sempre ammesso che diciate o che ricordate che è mai esistito. Ma non è morto, e come direbbe il nostro beneamato H.P.Lovecraft: «Nella sua dimora nel Web il morto ALIA Evolution attende sognando».

Che cosa sogna ALIA Evolution? E che cosa ricorda?

Ricorda le furiose discussioni su una scrittrice di fantasy, Chiara Strazzulla. Ha pubblicato due libri, l’ultimo nel 2009, e da quattro anni tace. Interessante notare che tuttora Google, una volta composto il nome di Chiara Strazzulla, spara in primissima posizione il post datato primavero 2008 di Davide Mana: «Einaudi apre al fantasy e chiude all’intelligenza», un post che ha avuto ben 107 risposte molte delle quali composte con  inatteso e probabilmente eccessivo livore. Si può dirne qualcosa oggi, a cinque anni dalla sua uscita? Temo di no, nulla di nuovo e di diverso di ciò che si scrisse allora. In fondo adesso Strazzulla tace e ALIA Evolution non ha più voglia di scherzare sul fantasy italico.

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E che cosa sogna? Ma, di questo credo ne parleremo presto. In linea di massima sogna un altro possibile volume della collana, un altro ALIA. Ma si tratta di un’impresa pressoché disperata. Mancano gli autori – ma questi forse un po’ per volta si possono raccogliere proprio sotto queste bandiere. Manca un editore – la libreria CS ha definitivamente chiuso, anche se qualcuno di noi – tipo il sottoscritto – potrebbe travestirsi da editore. E mancano i testi. E questo non è un piccolo problema. Ma anche qui può esservi una soluzione. Insomma, direi che è il caso di parlarne, che cosa ne dite?