Come promesso pubblico di seguito le prime (brevi) presentazioni a tre dei racconti pubblicati nell’ultimo ALIA Storie.
Le ha scritte la curatrice, Silvia Treves,dimostrando – se non altro – di aver davvero letto i racconti. La suddetta ha anche promesso di inserire qui con cadenza settimanale tre presentazioni dei testi stampati creando, alla fine del lavoro, una breve guida all’antologia.
Il totale di tre alla settimana per sette settimane fa 21, però. E i racconti sono 22. Un buon sistema, in sostanza, per non parlare del proprio racconto. Una cautela che indubbiamente le fa onore, soprattutto perché ultimamente il mondo pullula di autopresentazioni, autorecensioni e di autopanegirici.
Pero l’antologia non può mancare di una presentazione e così a recensire il suo racconto provvederò personalmente. Inutile farmi notare che immancabilmente la mia presentazione sarà amicale, parziale e forzatamente benevola. Io sono qui per vendere, non per sprecare fiato e pazienza. E, in ogni caso, è decisamente probabile che i racconti pubblicati mi piacciano, dal momento che ho speso del vile denaro per renderli disponibili e leggibili per tutti.
Quindi…
«Lo scout» non ha nulla in comune con la consueta immagine del bambino «vestito da cretino, comandato da un cretino vestito da bambino» secondo l’interpretazione di G.B.Shaw. È un adulto, un individuo solitario e malinconico che ha come compito nella vita quello di accompagnare i moribondi nei territori sconosciuti dell’oltrevita. Accompagnarli fino al limite dell’esistenza terrena, conducendoli per un passaggio difficile e disagevole. I suoi compagni di viaggio sono spesso agitati, nervosi, spaventati. Suo compito è rendere il loro passaggio naturale e sereno. Non è un compito facile e ha come conseguenza una sensazione di opprimente solitudine che nessuna religione – lo scout è programmaticamente agnostico – può colmare.
Un racconto curioso e sorprendente, una meditazione sulla trascendenza guidata da una perfetta atea. Merita leggerlo per la stanca umanità del protagonista e per il finale, capace di moltiplicare all’infinito le Strade per il nostro esilio.
E ora la parola a Silvia:
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Come co-curatore di Alia ho il piacere di leggere i racconti man mano che vengono inviati dall’autore o dal traduttore. È un privilegio che non lascerei a nessun altro. In vista delle scadenze di consegna – o quando i traduttori ne hanno preparati un certo numero – arriva contemporaneamente un grappoletto di racconti e io me li ritrovo sul PC, in una directory battezzata sempre e solo “Alia__” (6, questa volta). Io li leggo i racconti a caso, scegliendo esclusivamente in base al titolo, condizionata, naturalmente, dall’umore del momento e dai temi che ritegno più affini. Di solito vengo ricompensata, ma suppongo dipenda più dalla chiarezza d’intendi dell’autore (e del traduttore) che dal mio fiuto personale. La tomba, ad esempio, è stato il primo racconto asiatico che ho letto quest’anno.
Qiufan Chen
LA TOMBA
“Guardino, ma non vedano”, sta scritto sull’insegna, all’entrata. Infatti, gli inquilini di questa sorta di inferno ad personam non vedono il mondo come noi. Lo vedono ognuno a modo suo, perché il loro «filtro», la distorsione che li ha colpiti, è unica. Una di loro non riesce a percepire gli oggetti in movimento, le cose le appaiono all’improvviso, come fantasmi. Un altro vede ma è convinto di non poterlo fare, per un altro il mondo è bidimensionale. Una donna non riconosce più i volti noti, il suo mondo è un universo popolato di estranei…
Forse questi “filtrati” sono pazienti degni di comparire in un saggio di Oliver Sacks, forse sono peccatori che cercano la redenzione. Forse tutti noi siamo “filtrati” e il nostro dialogo su come vediamo il mondo è una convenzione che ci permette di non impazzire…
Quando ho scelto di leggere La tomba non ero del mio umore migliore, ma sicuramente di quello giusto per apprezzarlo. Vorrei averlo saputo scrivere.
Ricordo il giorno in cui ho cominciato a leggere “Invisibile”. La scelta, quella volta, non era caduta sul titolo ma sul tema. Il traduttore mi aveva detto che parlava del rapporto tra una docente e un’alunna. “La sorte me ne scampi!”, mi dissi, ed ero solo a pagina 6…
Tôya Tachihara
INVISIBILE
Anche al docente più navigato, il primo giorno con una nuova classe crea un po’ di ansia e un po’ di aspettativa. “ Faticherò a reggerli, mi ci affezionerò, mi annoieranno a morte, mi metteranno alla prova come piace me?”. La classe della prof protagonista è una classe media. abbastanza piacevole, abbastanza disciplinata, abbastanza studiosa (per lo standard giapponese, quindi per noi mostruosamente diligente). Tutto fila liscio, con una sola eccezione: la signorina Kyôko Yamano. Intendiamoci, lei è puntualissima, assidua, preparatissima, dedita al volontariato, generosa con i compagni. Ha soltanto un neo: non si fa mai vedere. La prof è un po’ risentita con lei, fino a quando scopre che tutti – compagni e colleghi – vedono e apprezzano Yamano. Tutti tranne lei…
Ho doverosamente solidarizzato con la povera prof, anche se il mio diavoletto custode mi ricordava che l’invisibilità, almeno temporanea, di un paio dei miei alunni peggiori non mi avrebbe gettato nello sconforto più nero. Però l’autrice, cancellando Yamano dall’orizzonte degli eventi dell’insegnante non ha voluto regalarle un paio di settimane di tranquillità ma minare le fondamenta del reale. E ci è riuscita benissimo…
Ma come si fa a battezzare un racconto DB? Perché l’autore ha scelto un titolo così sottotono? Così incolore? Non lascia trapelare nulla, non svela il tema, le intenzioni, non suscita curiosità… Voglio proprio vedere di che cosa parla, ecco.
Fabio Lastrucci
DB
Uno dei peccati capitali della nostra civiltà occidentale, qualunque cosa significhi questo termine pomposo, è l’incapacità di accettare i limiti, la determinazione a cancellare tutto ciò che ci ricorda che abbiamo – noi e il nostro mondo – una data di scadenza. Imperfezioni, malattia, vecchiaia, morte sono parole indecenti: noi siamo ragazzi fino a quarant’anni, giovani per sempre grazie a creme e chirurgia estetica e trapianti di capelli e più soldi abbiamo più possiamo dimenticarci delle leggi di natura (ma non convincere loro a dimenticarsi di noi). Perché dunque accettare il limite che separa i vivi dai morti? Aspettate prima di dire che l’idea non è nuova: di solito nei racconti c’è un trasgressore per volta, fantasma, vampiro o succhiatore di vita che sia. E di solito, la sua trasgressione non gli porta la felicità. Ma che dire di una intera società che tenta di mettersi in contatto con i cari estinti grazie al più grande Data Base del mondo: Dead Book? Il racconto è bello, pieno di echi. Ha un solo “difetto” quando lo finisci ti chiedi subito “E poi?”
Lastrucci, per favore, non lasciarci a metà…
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A rileggerci presto!