Leggere (e rileggere) a schermo?

È una discussione, anzi una riflessione a due, fatta con Alex Defilippi. Riflessione a due, dal momento che le nostre posizioni non erano molto diverse. D’accordo sul fatto che la prima vera stesura di un testo – dopo aver raccolto un certo numero di appunti – si fa sul PC. E d’accordo sull’impossibilità virtuale di rimettere le mani sul testo senza averne sottomano una copia cartacea. E perché? In fondo sempre di glifi si tratta. Instabili quelli del PC e immobili quelli su carta, ma uguali le modalità di decifrazione. È un semplice problema di età, nel senso che siamo cresciuti tutti e due leggendo soltanto su carta, o è un probema «neurologico», nel senso che il nostro cervello non attribuisce esattamente lo stesso significato ai medesimi segni? Un problema di abbandono (si è diversamente vigili davanti allo schermo)? O di possibilità di cogliere il «sottotesto», ovvero ciò che si lascia intuire, soltanto su carta? Si è meno meno disponibili all’emozione artistica davanti a un monitor?

Personalmente non ho risposte né penso che riuscirò mai a cambiare condotta in proposito ma mi piacerebbe sentire qualche altro parere.

13 pensieri su “Leggere (e rileggere) a schermo?

  1. Io credo che sia un “problema” di abitudine, e probabilmente del tipo di meccanismi coinvolti nella scrittura e nella revisione.

    Provo a spiegare.

    Prima di scrivere col computer scrivevo a macchina – ho una grafia semplicemente orribile e sono molto lento nello scrivere a mano, perciò il supporto meccanico per me è sempre stata una manna.
    Scrivere a macchina mi ha insegnato a fare buona la prima – nel senso che colossali ripensamenti e correzioni significano buttare tutta la pagina e ricominciare.
    Molto male.
    Per fare buona la prima è necessario scriverla e revisionarla nella testa, prima di riversarla sul foglio.
    Passando al computer – dove è infinitamente più facile modificare il testo – ho cercato di mantenere le buone abitudini prese sulla vecchia Olivetti.
    Per cui io in fase di revisione, al computer, al limite sposto dei blocchi di testo – ma difficilmente li riscrivo.

    E si, io le mie cose le revisiono al computer – a meno che non sia in una situazione per cui mi debba per forza portare dietro lo stampato (lo revisiono in treno, o sulla spiaggia).

    Questo è un mio limite.
    Per scrivere una storia devo prima averla scritta in testa.
    Per questo motivo quando ho le idee giuste per un racconto (quando mi vengono le annoto in un quaderno che ho sempre a portata di mano), passo giorni e giorni a girare a vuoto, ad ascoltare dischi, a spulciare vecchi libri… intanto, in sottofondo, scrivo il mio racconto.
    In questa fase sono normalmente insofferente e di umore pessimo.
    Messa insieme la trama generale, faccio la ricerca necessaria – cerco articoli in rete o ripesco volumi sul mio scaffale per evitare di ciccare una data o di attribuire gli effetti sbagliati ad un farmaco.
    Poi mi metto alla tastiera e riverso tutto su file – e i nodi si sciolgono.
    In questa fase posso usare dei trucchi – scrivere tutto il dialogo di seguito senza punteggiatura e poi suddividerlo, se così mi viene meglio, o scrivere prima tutte le descrizioni epoi tutti i dialoghi.
    Queste sono libertà che il computer mi concede.

    Poi impagino e revisiono.
    La revisione di solito consiste in
    . spostare un paio di paragrafi avanti o indietro
    . se non l’ho fatto prima, leggere ad alta voce almeno i dialoghi
    . eliminare il superfluo

    Difficilmente un racconto, dopo la revisione, risulta più lungo di prima.

    Esiste comunque una forte componente rituale nella scrittura.
    Sull’argomento, tuttavia, vi rimando ad un interessante libriccino, pubblicato da Astrolabio – Scrivere Zen, di Nathalie Goldberg.
    Assolutamente indispensabile – specie per l’attenzione che dedica al dove scriviamo, su cosa scriviamo (schermo, carta, quaderno), quando scriviamo, con cosa scriviamo…
    Notevolissimo.

  2. Credo che ognuno di noi abbia un suo personale sistema. Per quanto mi riguarda, anch’io lavoro molto sulla preparazione in fase mentale della storia visualizzandola nella mia testa. Quindi, controllati i dati e consultati i libri con le informazioni necessarie, realizzo una prima stesura al computer. Potrei farlo sulla carta, ma siccome frequentemente mi capita di variare parole o espressioni oppure di spostare blocchi di testo realizzare il lavoro di rifinitura al computer e’ molto piu’ comodo. Infine stampo il testo e lo leggo su carta in modo da controllarne l’effetto in stampa e fare eventualmente altre variazioni. Che poi e’ grosso modo lo stesso sistema che utilizzo per le traduzioni anche se li’ preparo prima il testo cartaceo segnando a matita i significati piu’ appropriati delle parole nel contesto.

  3. Condivido il parere e la metodologia di lavoro di Massimo. Secondo me nella letura c’è una componente fisiologica e una culturale. I pixel luminosi dello schermo daranno un affaticamento all’occhio ch la carta non produce, con conseguente perdita di concentrazione. Il conttto fisico con la carta, poi, fa parte del nostro retaggio culturale. E’ tutto sommao più facile da consultare, rileggere e soprattutto visualizzare come blocco di testo intero e non sezionato dallo schermo.

  4. Io penso, come Davide, che sia una questione di abitudine. Anch’io non ho mai scritto a mano, non mi è mai neanche venuto in mente, forse associavo la scrittura manuale ai temi, ai diari, alle lettere, e per passare alla narrativa cosciente di sé avevo bisogno di un mezzo diverso e di un diverso rituale. Quando scrivevo a macchina, essendo una pessima dattilografa, ponderavo ogni singola parola per evitare l’immane fatica di ribattere un foglio. Il computer è stato una liberazione e di sicuro un miglioramento enorme della mia scrittura, malgrado il primo pc pre–windows e pre–mouse e l’orrido programma di scrittura Word Star, tutto da tastiera, e una stampante a modulo continuo che andava tutta storta. Da allora ho stampato, stampato, certi romanzi hanno avuto anche dodici stampate successive. Adesso mi accorgo che a poco a poco stampo sempre meno, per le cose brevi non stampo più del tutto, per quelle lunghe una stampa ci vuole per rileggere tutto di fila data che ho l’abitudine di leggere sdraiata sul letto. Anche per l’attenzione non noto molta differenza, solo nei confronti tra due pagine la carta è sicuramente più comoda, diciamo più facile, ma comunque se voglio controllare l’uso di un termine devo tornare al pc, se ho bisogno di un’informazione su internet pure, ecc ecc. Quindi sono giunta alla conclusione di cui sopra. Come lettrice sono tutta a favore del supporto cartaceo, quando scrivo tendo sempre più a farne a meno e finisce che lo trovo un intralcio.

  5. Bella discussione (non polemica, se Dio vuole)e una considerevole varietà di condotte, anche se l’attaccamento alla pagina scritta, sia per la revisione dei manoscritti che per la lettura in sé mi sembra plebiscitaria. Non nego, comunque, di provare ammirazione per Davide che si porta diverse decine di Tb all’interno delle circonvoluzioni cerebrali e poi, come un cyborg, le scarica sul foglio scritto.
    Io non ne sono capace.
    Ho scritto il mio primo romanzo completamente a mano.
    Scrivo non troppo bene, ma in modo abbastanza comprensibile (perlomeno a me stesso). L’ho scritto a matita tenendo sottomano (e usando senza risparmio) una grossa gomma. Per gli spostamenti di paragrafi, periodi ecc. facevo grandi frecce.
    Poi ho comprato una macchina da scrivere elettrica. Sostanzialmente per mettere in bella il romanzo. Sono venute circa ottocento cartelle, ma questo è un altro discorso.
    Poi è venuto il PC. All’inizio – quando i programmi non erano ancora troppo raffinati – lo usavo come una macchina da scrivere più raffinata e che ammetteva errori. Poi, quando i programmi mi hanno permesso di impaginare, mi è venuta un’altra paranoia. Ho cominciato a scrivere sul PC impaginando direttamente il testo in forma di pagina di libro. Il vantaggio del metodo è che leggere i miei testi come se fossero già impaginati, ovvero più simili a un libro finito, me li rende «estranei». Questo significa che posso martellarli senza pietà, con il vantaggio di non dover discutere con l’autore.
    Resta il problema di leggere quello che c’è realmente scritto e non soltanto la mia intenzione di scrivere questo e quello, ma qui si va in un altro discorso.

  6. Io non sono un cyborg.
    Io disprezzo i meganoidi e tutto ciò che essi rappresentano, ed ho giurato di combattere fino a che Marte non sarà libero dall’ombra di Don Zauker.

    A parte questo, io non giro per giorni con svariati Terabyte di narrativa nel cervello.
    Anche perché non scrivo romanzi – credo finora di non aver prodotto nulla oltre le 15mila parole – circa quaranta pagine.
    Così è più facile.

    E poi lavoro per scene.
    Ogni scena mi gira in testa come uno stralcio di film prima di scriverla.
    Nel momento in cui una scena è a punto, per metterla a fuoco la devo scrivere.

    E la struttura generale della storia è anche presente, come una specie di attaccapanni al quale si attaccano le scene.
    Posso scambiarle di posto come potrei riorganizzare la mia collezione di cappellini scemi.

    Ah, inutile.
    OK, prendete per i fondelli fin che vi pare….

  7. Una cosa – Consolata ha menzionato il leggendario WordStar (e chiunque abbia scritto alcunché con WordStar ha tutto il mio rispetto).
    Comunque… che software usate?
    Massimo Citi dice che impagina i testi emulando la stampa – immagino allora qualcosa di pesante.
    Come minimo MS Word o OO-Write.

    Io normalmente lavoro in .rtf e uso un editor leggero – in Windows usao RoughDraft, in Ubuntu uso Abiword.
    Mi piace un processore testi rapido, che si avvia subito, che non si porta dietro mezzo hard-disk di funzioni che non uso, che mi fornisce il conteggio delle parole, e con le minime funzioni di editing per emulare su video l’impaginazione.

    Gli articoli per LN di solito li scrivo in notebook, e poi li impagino e faccio l’editing in qualcosa di più ricco.

    Manie personali, immagino – e tuttavia, come dicevo nel primo post – anche la scelta dello strumento/interfaccia che si usa ha una sua importanza.

    Solo questo.

  8. Ho bisogno di usare un font che mi piaccia, qualunque cosa scriva. Tipo baskerville o bodoni o l’immortale times per la narrativa e tahoma e verdana per gli articoli. Penso che il courier vada bene per le istruzioni allegate a un microonde o a un asciugacapelli e aborro i font che simulano a qualsiasi titolo la scrittura manuale. Ma su questo terreno penso si vada decisamente sul de gustibus.
    In quanto ai programma, usavo il vecchio AmiPro lotus fino a una decina di anni fa, poi mi è venuto naturale passare al Lotus Word che continuo a utilizzare, anche se l’ha usato Noé per le istruzioni per l’imbarco. Non sono abituato al MS Word. È questo un programma facile da usare, certo, ma in realtà insieme approssimativo e complicatissimo per le funzioni più raffinate. Anche per la scarsa abitudine a usarlo mi viene il nervoso tutte le volte che lo apro.
    Sono ormai talmente dipendente e assuefatto all’impaginazione professionale che non riesco letteralmente a leggere un romanzo appena pubblicato di una mia conoscente, stampato da un editore che ignora l’ABBICCI’ della normazione editoriale. Mi rendo conto che mentre leggo mi sale una sorda incazzatura che non ha a che vedere con le qualità, scarse o generose, del testo. È un problema anche perché il prox mercoledì ospiterò la presentazione del romanzo e sono a pagina… non sono nemmeno a pagina, in realtà. L’ho aperto sei o sette volte a pagine diverse, ho letto venti righe e poi l’ho chiuso conscio che avrei finito per prendere in antipatia il testo.
    Fatti vedere da uno bravo, direbbe mia figlia, e probabilmente ha ragione.
    Questo non mi accade, comunque, con i normali file impaginati secondo i gusti personali di chi collabora con LN o con CS_libri. Meglio dirlo, a scanso di equivoci…

  9. Condivido tanto il giudizio sulla natura discutibile di Word quanto l’incapacità di leggere un libro male impaginato.

    D’altra parte, quasi a confermare la mia natura meccanica, io il testo lo posso scrivere come mi pare, ma se poi non lo metto in Courier non riesco a rileggerlo, e di solito lo presento così.
    Con Courier vedo subito i doppi spazi e gli a capo fasulli e tutto il resto.
    Non stamperei mai un libro in Courier, ma considero l’uso di questo font un importante passo intermedio.
    Questione di abitudini e gusti, indubbiamente.

    Il colmo: presentare un testo in Courier per un articolo accademico (prima battuta, testo ancora da rivedere e impaginare).
    Sentirsi dire tuoni e fulmini perché Courier è brutto.
    Dover ripresentare il testo in Times.
    Effettuare le revisioni e consegnare il definitivo in Times.
    Sentirsi dire tuoni e fulmini perché tutti sanno che gli editori amricani il testo lo vogliono solo in Courier….

  10. I “come” del mio modo di scrivere sono frutto di sollecitazioni esterne/necessità di dire/ urgenze contingenti.
    a) Anche se ho già un’idea (che riguardare sia l’inizio del racconto, sia un suo episodio e perfino lo scioglimento finale), per riuscire a cominciare una storia devo prima “vedere” qualcosa: un personaggio alle prese con una situazione, un luogo, un oggetto… In genere all’inizio non ho una traccia nemmeno generale della vicenda. Butto giù la prima frase, la assaporo, mi lascio trasportare dalle parole, dalle assonanze e la prima scena prende forma; poi annoto idee, e spesso scrivo intere scene, su quadernetti che mi seguono ovunque. La mia scrittura funziona come meccanismo di fuga: ho scritto spesso per scappare da luoghi in cui non volevo essere.
    b) In genere non scrivo di cose che conosco bene: se volessi parlare direttamente della mia vita scriverei una biografia; non leggerei mai la storia di una disperata che cerca di essere contemporaneamente docente, genitore, libraio, co-coordinatore di vari progetti editoriali (in ordine cronologico nella giornata), figurarsi se sarei disposta a scriverla… No grazie: se scrivendo non indossassi altri panni, continuerei a pensare soltanto ciò che penserei se non scrivessi. Questo comporta la necessità di documentarmi sia per evitare di scrivere c…te disumane, sia per far procedere la storia.
    c) Per motivi puramente contingenti o per bisogno di fuga scrivo un po’ come capita e in regime misto: inizio sul quaderno e poi riporto sul PC, oppure comincio sul PC e continuo sul quaderno, poi ricopio ecc. Un WP, comunque, resta fondamentale per “provare” vari modi di raccontare la medesima scena, cancellare e rimontare è facilissimo). Rileggo e correggo sul PC quando ricomincio a scrivere il giorno dopo (o la settimana dopo, in questi ultimi tempi), mi serve a ripartire.
    d) Scrivo ascoltando musica se posso e in genere ogni mia storia è legata a un certo tipo di musica.
    e) Dopo le revisioni parziali, a fine stesura faccio quella finale, a quel punto la storia da potenzialità è diventata struttura “chiusa” e quindi occorre tornare indietro, cancellare certe tracce, sottolinearne altre ecc. Anche qui il PC va benissimo. Poi, lascio sedimentare la storia e la rileggo a mente fredda, sempre in forma cartacea (è così che la leggerà il lettore), spesso a voce alta.
    Fine.

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