Einaudi apre al fantasy e chiude all’intelligenza

[originariamente pubblicato su strategie evolutive]

Riprendiamo la notizia da FantasyMagazine, su segnalazione dell’eccellente Shamanic Journey

E’ italiana. E’ giovanissima. E’ autrice di un romanzo fantasy… e ha conquistato una delle più blasonate case editrici italiane, che con questo romanzo si è decisa ad aprire le porte al genere fantasy

Cominciamo col porci una domanda… ma perché questa ossessione per le autrici giovanissime?
È un tratto culturale, il fascino della gerontocrazia per la jeune fille, vapida creatura priva di opinioni che si cincischia i capelli, e per le sue esternazioni su carta stampata?
Moccia & Muccino ormai annidati nel nostro DNA?
Un’astuta tattica di marketing, per far leva sul voyeurismo di un pubblico sfatto, che non potendo guardare nella biancheria intima delle ragazzine spera di ricavare uno straccio di titillazione dal guardare nel loro cervello?

Diciamolo chiaro e tondo: gli autori giovanissimi non sono una garanzia di qualità.
Neanche quando hanno il buon gusto di morire alla svelta.

Ma proseguiamo con l’articolo di Fantasy Magazine…

La scelta di Einaudi di guardare al fantasy è soltanto l’ultimo tassello in questo grande mosaico che abbiamo seguito nel corso di questi anni. Una delle più blasonate case editrici d’Italia (fondata nel 1933 da Giulio Einaudi) ha deciso di aprire le porte al genere che tanto ci appassiona. E l’ha fatto, a nostro avviso, nel migliore dei modi: puntando lo sguardo sugli autori di casa nostra. Dando una possibilità alle creazioni nostrane, senza dover ricorrere alla produzione straniera (per quanto pregevole essa possa essere). La qualità, quella vera, sta di casa anche in Italia.

Sarebbe bello leggere recensioni e non marchette.
La monumentale scelta di Einaudi, che blasonata lo rimane solo sulla carta e che da una quindicina d’anni ha cessato di essere editore di qualità per diventare editore di cassetta, è una pura manovra di marketing.
Quale genere “tira” al momento?
Volete un indizio?
Harry Potter.
Aha, bravi, indovinato, il fantasy mirato ad un pubblico adolescenziale di tutte le età.

Sul fatto che la qualità stia di casa in Italia, sospendiamo il giudizio (avendo perpetrato anch’io del fantasy, mi tirerei la zappa sui piedi, giusto?).
Certo, assicurarsi il manoscritto di un’esordiente italiana al margine dei diciassette (come cantava Stevie Nicks) costa sei/otto volte inmeno rispetto ad acquistare e tradurre un solido romanzo straniero (e ce ne sono tanti).
E notate i tempi – Rowlings esaurisce il suo prodotto, Einaudi ha il rimpiazzo pronto.

Ma cosa si preparano ad ammannirci, la blasonata Einaudi e la giovanissima promessa…

La scelta è così caduta sul primo volume di una giovanissima autrice italiana, soltanto diciassettenne, dando vita a una specie di caso letterario nel caso letterario. Lei è Chiara Strazzulla e il suo primo romanzo, un volume di 500 pagine in uscita a maggio 2008, nella collana Einaudi — Stile libero extra, s’intitola Gli Eroi del Crepuscolo.

Visto? Edge of seventeen.
Ai miei tempi, i diciassettenni erano troppo impegnati a fare le loro prime esperienze sessuali per aver tempo di scrivere fantasy. Oggi, col fatto che cominciano ad essere sessualmente attivi a quattordici, a diciaassette già si sentono pronti a scrivere romanzi.

Il titolo è falso e scontato, e come altri hanno fatto notare, ricorda maledettamente il primo volume della saga di Dragonlance, ripetitiva ma competente polpetta fantasy scritta da Weiss & Hickman una ventina d’anni or sono, frutto delle loro partite a Dungeond & Dragons.

Ma un momento, magari, nonostante un’autrice troppo giovane, una casa editrice rapace ed un titolo patetico, il romanzo è interessante, giusto?
mai dire mai…

Il Signore delle Tenebre ha rapito la figlia del Re degli Eterni e a Dardamen la guerra è alle porte. Il giovane Lyannen, mezzomortale innamorato della principessa, si offre di partire con un gruppo di fedeli amici per salvarla. Slyman non ha mai visto Dardamen, è cresciuto lontano da tutto e tutti, non sa da dove viene né di chi è figlio, non sa nemmeno chi è. Ma si unirà a Lyannen e gli altri per salvare il Regno. Una missione costellata di avventure mozzafiato, tra fate, amazzoni, ka-da-lun e pixies, paludi e nebbie, profezie e segreti rivelati.

Sottolineiamo i cliché…

Insomma, le premesse ci sono tutte per una benemerita porcheria.
Meno di un mediocre modulo per D&D.
E d’altra parte, povera ragazza, ma cosa vi aspettate?
Ha diciassette anni!
Un’età nella quale il Signore delle Tenebre e l’acne incombono con uguale pathos all’orizzonte.
I sentimenti sono malformati, le esperienze nulle, le opinioni indegne di essere scritte su carta.
Cosa vi aspettate che scriva, povera ragazza?

E qui qualcuno potrebbe anche inalberarsi.
la ragazza ha diciassette anni ed il diritto di far quel che le pare, e chi sono io per stroncarla senza nenache aver letto il suo libro?
Sacrosanto – la ragazza ha il diritto di fare ciò che più la diverte.
Ma nessuno spacciatore di libri ha il diritto di vendercela come il dono di Dio al fantasy quando tutto lascia presagire solo una lecitissima, anche rispettabile, montagna di banalità da liceale; il genere che si riscopre con un certo imbarazzo, a trent’anni, in uno scatolone in soffitta e ci si domanda se – fra il lavoro da finire per il mese prossimo e la revisione degli ultimi tre racconti – non si riuscirebbe magari a trovare il tempo per rivederlo e cavarne fuori qualcosa di buono.
Magari una parodia.

Perché tutti abbiamo scritto libri a diciassette anni.
Per rimorchiare.
O per sottolineare la nostra immagine di outsider.
Per tirarsela.
O per vedere che effetto fa.
Si tratta di una lecita, necessaria, indispensabile forma di onanismo.
ma poi, come in campo sessuale si gettano i calzettoni di spugna e si passa alle donne, così il nostro primo romanzo lo gettiamo in fondo a un cassetto e cominciamo a scrivere davvero.

L’operazione di Einaudi è pornografica, poiché mostra ciò che non si dovrebbe mostrare – e lo fa per danaro.

Oltre a ciò, l’uscita in pompa magna di cose come questa ha due ulteriori effetti orribili.
Primo – santificando l’autrice alla sua opera prima, le viene formalmente impedito di crescere e migliorare; venduto questo, gli editori vorranno solo “more of the same”. Magari lei si adatta – dopotutto, ben venga il pattume se significa diventare best seller con Einaudi. Oppure si troverà presto stretta nel ruolo che l’editore le ha ritagliato (le consigliamo a questo punto un bello pseudonimo per le opere più mature che scriverà fra quindici anni).

Secondo – il pubblico viene ulteriormente drogato con bassissima qualità spacciata per capolavoro.
La critica è giuà stata armata col “caso letterario nel caso letterario”, e opportunamente lubrificata dall’editore.
E i fan, lo abbiamo già detto in passato, sono cretini.
Non basta essere diciassettenni ed italiani, e pubblicati da Einaudi, per scrivere capolavori. ma volete scommettere? Traboccheranno di lodi, i blog dei decerebrati, e vi spiegheranno nel dettaglio perché non avete capito nulla.

La tentazione del G.A.F.I.A. è sempre più forte.

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A che cosa serve un editore? Capitolo 3

[riprendiamo il capitolo tre della discussione dal blog Fronte & Retro di Max Citi]

Sono contorto e quindi ritorno al primo post sul tema, ovvero al capitolo 1.
Ricordate? Elvezio Sciallis, lettore attento e acuto oltre che a sua volta autore, comunica a chiunque passi sul suo blog che non ha più intenzione di scrivere di libri editi a spese degli autori, autoprodotti eccetera. Una scelta che sembra andare nella direzione esattamente opposta alla scelta di autoproduzione che viene sempre più spesso adottata nel campo musicale e cinematografico.
Io, libraio e da lungo tempo collaboratore – oltre che editore, ma questo ha molta meno importanza – di una rivista di recensioni, non posso che dargli ragione. Assolutamente e completamente ragione.
Interrogo il me stesso di una decina di anni fa.
Che cosa avrei pensato di questo me stesso più vecchio, così reciso nel negare una possibilità a un nuovo autore?
Non troppo bene, certo.
«Bello st…zo».
Eppure penso di avere delle ragioni.
Altro passo indietro. Ricordate Viligelmo D. che ha speso cinque milioni per restare nessuno? Ho affermato che tale scelta smascherava un atteggiamento profondamente sbagliato nei confronti della narrativa.
Non sbagliato in un senso astrattamente morale. Siamo soltanto esseri umani, quindi lasciamo pure la morale a chi si illude di non esserlo.
Sbagliato nel senso di controproducente, ovvero autolesionista e ingannevole.
Perché controproducente?
Semplice. La fama di certi editori arriva ovunque. Essere pubblicati da uno di loro (ricordate “La Garaunta”?) è sicuro indizio quantomeno di un testo non curato né redatto o rivisto da nessuno che non sia l’autore o, al massimo, qualche amico o conoscente più o meno competente. Mentre scrivo mi basta alzare lo sguardo per vedere un mezzo scaffale carico di questo genere di libri inviati alla libreria o alla redazione di LN, libri mal impaginati, peggio corretti e con copertine nella migliore delle ipotesi artigianali, nella peggiore semplicemente grottesche.
Un aspetto importante ma spesso trascurato del libro è che esso è, entro certo limiti, un’opera collettiva, frutto del lavoro dell’autore ma anche di chi ne ha curato l’edizione, del correttore di bozze, del grafico che ne ha scelto la copertina, del tipografo che lo ha realizzato. In questo senso affidare il proprio libro a un editore di vanità (questa è la definizione corretta, anche se un po’ deprimente) è un modo egregio per sprecarlo – se vale qualcosa – o per autoilludersi e non imparare nulla sulla natura dei libri se il libro non vale granché o non vale nulla..
La funzione di un buon editore possiamo dire stia tutta in questa capacità di trasformare un sogno grezzo sognato dal suo solo autore in un sogno che tutti abbiano potenzialmente la possibilità di sognare. La realtà è che spesso i libri autoprodotti nascono per la stragrande maggioranza già morti. Una volta assolta la loro breve funzione di autoillusione diventano come quei ritagli di giornale che raccontano della volta che si è vinta la gara di biliardo o si è vinto un premio per la ceramica, dimenticati in un album e da nascondere ai figli.
Scopo di un buon editore è pubblicare libri che non scadano.
Ma che cosa debbono fare gli autori che non riescono ad arrivare alla pubblicazione?
Autoprodursi?
Può non essere un’idea da buttare via.
Cito da un intervento di Davide Mana sul suo blog strategie evolutive:

. un titolo originale – credetemi, è di una difficoltà pazzesca.
. una bella copertina – assoldare un professionista per l’illustrazione potrebbe non essere una cattiva idea. Esistono siti nei quali artisti di professione e dilettanti mettono in mostra le proprie opere. Farci un giro e cercare contatti potrebbe essere una buona idea.
E poi necessario ricordare che una copertina non è semplicemente una figura con un testo appiccicato sopra, ma deve avere un certo design.
Scelta di caratteri (font, dimensione, colore, effetti), posizione dei diversi elementi e quant’altro è fondamentale – si può ammazzare un’immagine bellissima o aggiungere carattere ad una figura qualunque.
. editing e impaginazione professionali – un font di buon gusto, testo giustificato, interlinea che renda agevole la lettura, niente refusi, formattazione consistente…
Ne abbiamo già parlato ma lo ribadiamo: non limitarsi a Word o OpenOffice per preparare il testo finale, ma usare una cosa tipo LaTeX o Scribus.
Fin qui, per la parte di produzione del libro.
Lo scopo è quello di lucidare al massimo la nostra gemma, se vogliamo che brilli fra il pattume.
Veniamo ora alla promozione del nostro prodotto
. ISBN – primo e fondamentale accorgimento, distingue i libri seri dalle opere dei dilettanti. Costa, ma ci garantisce la rintracciabilità globale del testo; in questo modo anche le librerie on-line potranno ordinare e rivendere il volume.
. un sito di presentazione che riprenda illustrazione e design del volume, e che regali un capitolo in formato pdf e il wallpaper della copertina, per fare in modo che i lettori si facciano un’idea non solo della qualità del testo, ma anche della qualità dell’oggetto.
È probabilmente il caso di spendere 25 euro e comprarsi un dominio.
Il sito dovrà anche accogliere un calendario delle nostre apparizioni pubbliche (ne parliamo fra un attimo), e magari un po’ di blog per informare lettori e curiosi delle nostre attività.
Non sarebbe male poi avere un booktrailer (lo si fa con flash o con synfig) breve e di buon gusto da piazzare in giro sulla rete… YouTube, MySpace, siti e blog di amici e supporter etc.
. sbattersi – a morte. Conferenze, presentazioni, saloni, sagre di paese, serate in parrocchia, corsi per i boy scout. Senza svendersi, ma bisogna essere presenti.
Si comincia in piccolo, ovviamente, ma poi ci si può allargare. Senza bruciare le tappe.
Serve a vendere più libri?
Non credo.
Ma conoscere di persona i lettori potrebbe aiutarci a capire perché certi elementi di ciò che scriviamo piacciono ed altri no.
E le nostre foto circondati dal pubblico faranno un figurone sul nostro sito.

E se invece si volesse proprio cercare un editore interessato?
Beh, ne parliamo nella prossima puntata…

ALIA Anglosfera 2008 – il mistero

L’uomo non deve vantarsi
del pesce che non ha pescato
Nè dell’orso
che non ha ancora scuoiato

[cfr. Edda di Snorri]

Due sole le certezze riguardo ad Alia Anglosfera

  1. Ci sarà un volume del 2008 (o così mi dice l’editore).
  2. Ancora una volta si farà tutto il possibile ed oltre per entusiasmare gli appassionati e coinvolgere i “mondani”.

A differenza delle più strutturate uscite con autori italiani e nipponici, non ‘cè al momento un elenco ufficiale dei narratori – due sicuri, quattro probabili, tre in attesa….
Inutile abbandonarsi a pronostici, fornendo oltretutto munizioni ai nostri sempre graditi critici.

Le premesse sono, come sempre, piuttosto vivaci.

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ALIA Giappone 2008, manca poco!

alia07cVisto che quasi ci siamo…ALIA Giappone: ben 11 scrittori e 6 illustratori nipponici!

Autori:
– Hayami Yûji
– Hikawa Reiko
– Kitano Yûsaku
– Kobayashi Yasumi
– Kurimoto Kaoru
– Makino Osamu
– Minagawa Hiroko
– Shibata Yoshiki
– Tanaka Hirofumi
– Tsutsui Yasutaka
– Yamada Masaki

Illustrazioni interne originali di:
– ABe Yoshitoshi
– Fujiwara Yûri
– Kanai Ryô
– Terada Tôru
– Ueda Ake

Copertina originale di:
– Suemi Jun

ALIA Italia 2008: la squadra

Il punto sul prossimo ALIA Italia. In fondo questo è uno degli scopi di questo blog.

Autori che hanno già dato la loro adesione:

(prima le signore):

Consolata Lanza; Silvia Treves, Mario Giorgi (che ha già mandato il suo racconto: «Secondo messaggio»), Davide Mana, Massimo Citi (titolo provvisorio: «I topi dell’inchiostro»), Massimo Soumaré, Danilo Arona, Alex Defilippi.

Si attende risposta da Fabio Lastrucci e da Elvezio Sciallis.

Vittorio Catani ha confermato ieri la sua disponibilità alla curatela dell’edizione – oltre ad avere già inviato il suo racconto (titolo: «Ventiquattr’ore al giorno nella teratochimica»).

ALIA cresce…

Azione o tensione?

Una domanda che, in una forma o l’altra, chiunque scriva fantascienza – ma anche fantasy, horror, noir o poliziesco – si è posto o è stato costretto a porsi.

Distinguo per comodità di discussione « Azione » e « Tensione », anche se si tratta di categorie narratologiche evidentemente connesse. Si potrebbe anche affermare che alla seconda debba necessariamente fare seguito la prima fino a giungere a uno « scioglimento », categoria narratologica per eccellenza.

Ciò che mi piacerebbe discutere in questo blog sono i rapporti di necessità / contiguità tra queste due categorie narrative e se è anche solo ipotizzabile che possano presentarsi in parte o del tutto separate, come i famosi ma introvabili monopòli magnetici.

È tipico del linguaggio filmico creare cicli di tensione / azione molto ravvicinati. In narrativa tali cicli possono presentarsi secondo ritmi diversi. La « rottura » determinata da un omicidio trova il suo scioglimento nella risoluzione del caso. Nel corso dell’indagine si ha una ben dosata – se l’autore è abile – crescita di tensione progressiva, spezzata da scioglimenti « secondari » improntati da scene spesso fortemente movimentate (la cattura di un complice, il rapimento di un congiunto dell’investigatore, ulteriori omicidi) fino all’acme e allo scioglimento definitivo. Questo può essere consumato in forma di forsennata sparatoria / inseguimento / duello finale / vittoria della verità e della giustizia oppure in forma di tranquilla discussione con smascheramento finale del colpevole davanti a un caminetto o nello studio del grande investigatore di turno. A mio parere in entrambi i casi è ragionevole parlare di «azione», essendone il contrario l’in-azione, ovvero l’assenza di un lavoro di ricerca.

Ma quanto e come queste categorie improntano fino all’essere gli altri generi, fantasy, fantascienza ecc.?

La domanda, necessariamente un po’ generica, nasce da una mia discussione con Vittorio Catani al quale ho mandato di recente in lettura un mio romanzo (di fantascienza). Le sue principali critiche – benemerite e come tutte le critiche a un proprio lavoro – sono state:

– nel corso della vicenda vi sono ritardi e parentesi di dialoghi o di descrizioni che rallentano la lettura. Che, in sostanza, manca talvolta l’azione anche se, indiscutibilmente, vi è tensione.

– lo scioglimento finale è, a suo parere, insufficiente, mancando – o non essendo sufficiente – un efficace meccanismo di rilancio.

Naturalmente sono d’accordo soltanto fino a un certo punto con il mio illustre lettore. Sono personalmente convinto che un dialogo ben condotto – esattamente come l’attenta descrizione di un luogo – possano creare sufficiente tensione da aver voglia di continuare la lettura. Basterà rileggersi la prima pagina de «La caduta di Casa Usher», una descrizione di 20 o 25 righe per comprendere che una descrizione accorta può fornire al lettore molti elementi di suggestione.

Che poi esista ancora l’abitudine, il desiderio o la pazienza di leggere e immaginare è forse davvero la domanda più importante, quella che non ho nemmeno il coraggio di fare e di farmi…

A che cosa serve un editore? Capitolo 2

[riprendiamo il capitolo due della discussione dal blog Fronte & Retro di Max Citi]

Post che prevedo non troppo breve, ma spero non banale. O non troppo banale.
Si parlava di autori ignoti, di editori fraudolenti o distratti e di editoria di vanità, ovvero di libri pagati dall’autore.
Qual è il problema medio dell’autore ignoto?
Ha scritto qualcosa, non importa (ancora) che cosa, e vorrebbe farlo pubblicare. Importante il motivo per cui, prima di ogni altra cosa.
Non c’è mai un solo motivo.
Il narcisismo è il primo motore,naturalmente, ma questo non significa necessarimente MALE. Se suonate uno strumento anche solo così così, passato un certo tempo – a meno non siate dei completi imbecilli – vorrete suonare in pubblico e/o con altri. In questo la scrittura non è differente.
Il grosso problema è che esistono e sono esistiti eccellenti strumentisti autodidatti e altri – di nuovo eccellenti – che sono regolarmente andati a lezione, ma mentre suonare uno strumento non è un’attività quotidiana e richiede una quantità anche notevole di pratica e di nozioni specifiche, scrivere è all’apparenza un’attività che non richiede competenze maggiori di un discreto voto in italiano.
Questo crea l’illusione che scrivere sia facile e alla portata di tutti.
Non è affatto così. La scrittura professionale comporta la conoscenza e l’uso di strumenti di organizzazione di un testo che non vengono insegnati a scuola o all’università. Non solo, scrivere poesia o narrativa richiede una buona conoscenza di testi di altri – possibilmente non soltanto di autori che si amano alla follia – disciplina mentale e grande dedizione.
Dopo di ché c’è gente che passa la vita a fare il sessionman e gente che incide dischi e diventa famosa. Vivere non è facile.
Farsi il proprio libro da sè è paragonabile – musicalmente – al trovare una cantina/garage dove provare e fare piccolissime esibizioni. Non c’è nulla di sbagliato in questo.
Personalmente ho suonato quasi in ogni luogo possibile (garage, studi, tendoni, cantinacce fetide ecc. ecc.) senza però sentirmi praticamente mai un fenomeno.
Ci avviciniamo al cuore del problema
Lo scrivente (abbiate pazienza, la parola «scrittore» per me è riservata a gente tipo Kafka o Dostoevskij)è solo. Come diceva il «buon dottore» (ma mediocre autore) Isaac Asimov, una volta scritto qualcosa lo scrivente si sente infatuato di se stesso e sogna di farlo leggere a chiunque gli capiti a tiro, convinto che il lettore non potrà che condividere il suo parere.
Appunto, lo scrivente è solo.
Raramente troverà qualcuno che gli dirà che la sua intonazione è debole o incerta e che il suo staccato è fuori tempo come facilmente accade in musica. Amici e parenti gli diranno che è «bravo».
Essendo «bravo» sarà ovvio per lui mettersi a cercare un ente che si preoccupi di far conoscere la sua bravura al mondo.
Sto semplificando, ne sono conscio, ma è per comodità di esposizione.
Il nostro scrivente manderà quindi il suo / i suoi / testo/i in giro per il mondo. Da Bollati Boringhieri alla Feltrinelli, a Mondadori, a Garzanti, Newton Compton, via via fino a Zanichelli, ultimo editore della lista. Ben che vada riceverà mesi e mesi dopo una letteruzza che lo ringrazia e lo invita a non rompere più. Altrimenti il silenzio.
«Mascalzoni!» dirà lo scrivente e si metterà alla cerca di qualcuno più attento e sensibile. Se non è un completo impedito lo troverà perfino. Per esempio Edizioni «La Garaunta» di Prosdocimi e Zatteroni (nomi di fantasia, sia chiaro).
P&Z pubblicheranno il romanzo o la raccolta poetica nella famosa collana «Il Collante», lo distribuiranno «nelle principali librerie italiane» e «a mezzo internet» in cambio di un «contributo dell’autore».
È fatta?
È fatta.
Almeno sembra.
Un passo indietro.
Il nostro scrivente ha mandato il suo romanzo a tutti o quasi gli editori italiani, si diceva.
Si è preoccupato di capire, innanzitutto, quali sono gli editori che pubblicano libri almeno vagamente simili a quello che propone lui? Ha fatto un salto in libreria per farsi un’idea delle diverse produzioni editoriali, ha cercato informazioni e ne ha chieste a qualcuno del settore, anche solo al suo libraio di fiducia?
«Non ho un libraio di fiducia», dice lo scrivente.
«Kzzz», dico io.
Parlare con un libraio non è poi tanto facile, anche se si tratta, a ben vedere, dell’unica figura professionale del settore editoriale a portata di mano.
Quindi è bene per lui insistere.
E lo dico contro il mio interesse.
Se lo scrivente compra libri soltanto al supermercato o nelle Feltrinelli Village vien voglia di dire: «Beh, si arrangi e vada da P&Z», ma non lo dirò. Basta soltanto un’avvertenza: prima di firmare il contratto con P&Z faccia un salto in una libreria (una vera) e chieda a gran voce: «Avete libri delle edizioni “La Garaunta”?».
Se viene guardato come un povero deficiente è già mezzo salvo.
Ma P&Z sono due truffatori? E lo scrivente (lo S., per velocità) è un fesso o un furbastro? Propendo per il fesso, anche se non vedo nella di male (a parte ogni considerazione sulla carta sprecata) nel pagare una cifra ragionevole per avere il proprio testo stampato e rilegato. Fondamentale:
1) trovare qualcuno che per stampare con copertina a colori un romanzo di 200 pagine in 500 copie non chieda più di 1500-2000 euro.
2) non illudersi che il semplice riconoscere il proprio nome sulla copertina di un libro sia un passo verso la fama imperitura.
3) Non pensare che ciò che si tiene in mano sia davvero un libro. Esattamente come non si può dire di aver «fatto un concerto» se avete suonato la chitarra sulla spiaggia per quattro amici.
Ma che cos’è, allora, un libro?
Beh, cercherò di parlarne in uno dei prossimi post.
Per chiudere un piccolo aneddoto personale. Anni fa conobbi uno S. che, pubblicato un racconto in un’antologia, si autoconvinse di aver finalmente sfondato. Mesi dopo mi telefonò per dirmi che era uscita una sua antologia da le «Edizioni del Plantigrado». Me ne portò qualche copia in libreria, entusiasta in maniera imbarazzante.
«Bene», dissi, «quanto hai pagato?».
Il suo sorriso non si incrinò: «5 milioni (correva l’anno 1993), ma me lo mettono in tutte le librerie».
«Se è così…»
I suoi racconti non mi piacevano, ma il mio parere in fondo non era importante.
Conoscendo la fama de le «Edizioni del Plantigrado» dubitavo però con tutte le mie forze che il libro sarebbe andato in qualche libreria che non fosse la mia.
Telefonai per curiosità a un paio di colleghi: «Sai qualcosa di un’antologia di Viligelmo Diotallevi pubblicata dal Plantigrado?».
Siete svegli, avete già capito.
Adesso Viligelmo ha smesso di scrivere. O forse ha soltanto smesso di credere di poter diventare uno scrittore. Una cosa triste, certo. Ma la sua fretta di pubblicare a tutti i costi (Anche 5 milioni di allora per 500 copie e 120 pagine… un furto!) mi era parsa il segnale di un atteggiamento profondamente sbagliato verso la letteratura.
Del perché ne parlerò presto.

Fata Morgana 12

Dietro opportuna segnalazione di Davide segnalo la nuova edizione del concorso Fata Morgana, la decima per l’antologia numero 12. Per ulteriori info sulle precedenti edizioni e per scaricare (tra pochi giorni) il bando visitare il sito http://www.librinuovi.info.

Come forse qualcuno saprà Fata Morgana è un concorso letterario a tema. Non è prevista quota di partecipazione o tassa di lettura. Si può partecipare con un racconto della lunghezza massima di 10 cartelle (20.000 battute) da inviare in sei copie entro il 30 giugno alla redazione di LN-LibriNuovi (c/o Libreria CS – V. Ormea 69 – 10125 Torino). I racconti debbono essere anonimi e i dati inseriti in un foglio a parte. La giuria è formata da redattori e collaboratori della rivista, i racconti verranno scelti nel mese di novembre 2008 e pubblicati entro il mese di dicembre.

Il tema della decima edizione è:

«Porte, passaggi, varchi, barriere»

Bene. Che cos’ha di diverso il concorso Fata Morgana dai tanti (tantissimi) concorsi che hanno luogo ogni anno in Italia?

Alcune cose:

– L’antologia ospita sia nuovi autori vincitori del concorso che autori già pubblicati, italiani e stranieri.

– Non c’è nessuna preclusione né di ispirazione né di genere scelto per affrontare il tema proposto.

In sostanza si può partecipare con un brano narrativo di qualsiasi genere: mainstream , ma anche fantascienza, fantasy, horror, erotico, poliziesco eccetera. Una delle caratteristiche importanti – anzi “statutarie” – di Fata Morgana è il tentativo, praticato e non predicato, di presentare la narrativa come tale, senza distinguo e sottospecie.

Ci hanno detto in molti che non è una buona idea, che i lettori si ritraggono, si confondono, si stupiscono. Può darsi, ma intanto siamo giunti alla dodicesima antologia e alla decima edizione del concorso…

Ultima cosa. L’ultima edizione dell’antologia è disponibile in vendita presso la libreria CS di Torino, presso il nostro sito e presso le principali librerie on line italiane. Non è in vendita, invece, nelle altre librerie. Si tratta di una scelta che ha a che fare con l’attuale organizzazione della distribuzione libraria in Italia. Chi vuole saperne di più, ce lo chieda, qui o sul sito della rivista (www.librinuovi.info).

 

 

Nobel alla Fantascienza?

Questa è una novità un po’ stantia.
Solo oggi infatti scopro una cosa che avrei dovuto scoprire un po’ prima, e la giro agli Alia-enati per commenti, brindisi, recriminazioni.

Il fatto è che il Nobel per la Pace ad Al Gore ha fatto tanto baccano, che ci è sfuggito che il Nobel alla Letteratura è andato a Doris Lessing.
Che, fino a prova contraria, ha anche scritto fantascienza.

Con la sua solita puntualità, Wikipedia ci ricorda addirittura che

Il suo romanzo Il taccuino d’oro ( “The golden notebook”) è considerato un classico della letteratura femminista da molti studiosi, ma stranamente non dall’autrice stessa. Il romanzo la fece entrare nella rosa dei possibili candidati al Premio Nobel, ma i suoi successivi romanzi di fantascienza la screditarono, eliminandola dalla rosa dei possibili vincitori.

Le cose evidentemente sono cambiate.
E’ cambiata la Lessing?
E’ cambiato il comitato del Nobel?
E’ cambiata la fantascienza?

Ammetto di non aver mai letto la serie di Canopus – un solo volume della quale mi pare sia stato tradotto da Fanucci (si, confermo – lo cita Wikipedia).
Riporto allora un’opinione altrui – David Brin

Yes, her Canopus books tended to be dense, tendentious and ignorant of
advances made elsewhere in SF. On the other hand, Lessing was unafraid
of labels and quite aware of the limitations that narrowminded cretins
haver tried to impose upon literature, by constraining the range and
realm of authorial exploration. She’s gutsy…

Come dice lui.

Questo post lo dedichiamo ai narrowminded cretins là fuori.
Noi c’abbiamo un Nobel e voi no.

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